Nel 1991 Wolverine era ancora un personaggio affascinante e lontano dallo stereotipo del classico supereroe. Un burbero mutante dal cuore nobile e dal passato indecifrabile, diviso tra i doveri di X-Man e i vagabondaggi in giro per il mondo con l’intento di saldare conti personali, che fossero nel nativo Canada o nell’immaginaria isola di Madripoor.
Nel giro di pochi anni, il successo del personaggio – amatissimo dai fan – l’avrebbe mandato quasi definitivamente in vacca per via di una sovraesposizione eccessiva sia all’interno che al di fuori dei fumetti. Allo stesso tempo, tutti gli sceneggiatori che si occupavano di lui si affannavano ad aggiungere indizi sul suo passato misterioso, spesso inutilmente e quasi sempre senza coerenza. Tra accavallamenti, sovrascritture, mezze verità, doppi e tripli giochi e semplici script mediocri, si è così creata intorno al personaggio una quantità di spazzatura tale da sovrastare la sua essenza.
In modo molto inconsapevole, tutto ebbe inizio proprio in quel 1991, quando sulle pagine del settimanale antologico Marvel Comics Presents fu pubblicata la miniserie Weapon X (Arma X in italiano), appena ristampata da Panini Comics nella collana Grandi Tesori Marvel.
Per rispondere alla richiesta di più informazioni sulle origini di Logan – sulle quali all’epoca si sapeva davvero poco o nulla – da parte dei lettori, Marvel Comics affidò l’incarico a Barry Windsor-Smith, disegnatore raffinatissimo di un lungo ciclo di Conan negli anni Settanta, da poco ritornato al fumetto dopo un periodo sabbatico. Complice anche la quasi verginità di quel personaggio così sfaccettato, Windsor-Smith capì bene come non snaturarne le basilarità, ovvero ciò che era stato chiaro anche a Chris Claremont fin da quando aveva iniziato a occuparsene più di un decennio prima. L’autore scelse di svelare solo una piccola porzione di passato e, al tempo stesso, di sollevare altri dubbi. E, soprattutto, in Arma X il passato di Logan era anche un pretesto su cui basare una (buonissima) storia, non l’unico elemento fondante.
E dire che la trama non sembrerebbe la forza principale di questa storia, vista la sua estrema semplicità, accentuata anche dall’inclemenza dello scorrere del tempo. Senza timore di spoiler (come va a finire lo sappiamo ormai tutti), può essere riassunta così: un uomo viene rapito e sottoposto a esperimenti particolarmente vessanti per la mente e il fisico, finché non riesce a fuggire, con i torturatori sulle sue tracce, e a fatica a raggiungere la libertà.
Windsor-Smith prese una classica trama da storia di origini di supereroi – con il protagonista che ottiene dei poteri grazie a un esperimento scientifico – e la adattò alla cupezza ereditata dagli anni Ottanta. Là dove nella Golden Age c’erano state speranza ed esaltazione, a inizio anni Novanta c’erano solo sconforto e disperazione. Questa tendenza avrebbe preso una strada degenerativa nel decennio a venire, ma al momento di Arma X tutto era ancora sotto i livelli di guardia.
La forza della storia risiede nella cadenza frammentata del racconto e nella grande espressività del fitto tratteggio. Forse anche a causa della brevità di ogni episodio (di otto pagine l’uno), l’autore si soffermò sui piccoli dettagli, a partire dalla ciclica e apatica quotidianità degli esperimenti condotti sul protagonista, allo scopo non di annacquare la narrazione, ma di catturare l’essenza meticolosamente maligna degli esperimenti a cui Wolverine viene sottoposto, paragonabili a vere e proprie torture. Proprio grazie alla reiterazione di queste pratiche riusciamo a empatizzare con il protagonista, anche se il punto di vista della storia è esterno a lui, messo in capo agli scienziati che sul suo corpo operano. Questo avviene soprattutto attraverso didascalie contenenti piccole e frammentarie porzioni di dialoghi.
Disseminate tra le pagine, quasi integrate nel disegno, le didascalie si vanno a comporre pagina dopo pagina, in parallelo alla storia, e formano un unico puzzle in grado di fornire il quadro caratteriale complessivo dei personaggi. Quel che ne emerge è soprattutto un forte rapporto speculare tra torturatori e torturato. I primi utilizzano pratiche “malvagie” pensando di agire a fin di bene e in nome di un interesse superiore (la creazione di un super-soldato che possa risolvere facilmente le guerre). Questa fredda e fallace logica contrasta con l’istintiva ferocia di Wolverine, costretto a operare come una bestia selvaggia contro la sua volontà.
La focalizzazione sui singoli frammenti narrativi è esaltata dal tratto dettagliato di Windsor-Smith, capace di caratterizzare ogni più piccolo spinotto, ogni più sottile cavo, ogni più ispido pelo sul corpo di Wolverine. Questa meticolosità aveva un unico scopo, inutile negarlo: il puro piacere del disegno fine a se stesso. Windsor-Smith era principalmente un disegnatore, così, potendo scegliere da solo, senza la guida di una sceneggiatura, decise di crogiolarsi nella libertà di disegnare tutto quel che voleva e che al contempo potesse far risaltare al meglio il suo stile. Ma questo ebbe anche un piacevole effetto collaterale, dato che tale minuziosità contribuì a far risaltare le sofferenze di Logan, persino nei momenti in cui il personaggio esprimeva tutta la sua barbarica bestialità.
La storia può inoltre contare su una forte compattezza autoriale, rara per un fumetto supereroistico di oggi, meno per quello di quegli anni, in cui autori come John Byrne e Bill Sienkiewicz riuscivano a gestire diversi aspetti della produzione. Nel caso di Arma X, Windsor-Smith si occupò da solo di testi, disegni, colori e persino lettering (in parte), dando un’impronta personale alla storia e creando un meccanismo narrativo che mantiene una coerenza stilistica davvero notevole dall’inizio alla fine. Insomma, rileggendo oggi Weapon X, si ha l’idea di una storia ancora virtuosa, ma – con il senno di poi – involontariamente nociva. Un po’ perché contribuì ad alimentare il falso mito del disegnatore necessariamente in grado di farsi anche narratore – che avrebbe reso più vacuo il fumetto americano mainstream per diversi anni –, un po’ anche perché scoperchiò il Vaso di Pandora delle origini di Wolverine, indirizzando il personaggio verso una china discendente che si sarebbe arrestata definitivamente solo 2014 – salvo alcuni preziosi e rari momenti –, con la morte del personaggio (e la sua successiva definitiva sostituzione con una versione più anziana, proeviente da ciclo di storie di Mark Millar Old Man Logan).
Ecco, con un approccio nostalgico – e un tantino nerd – per me raro, mi verrebbe da pensare che Arma X abbia rappresentato l’apice della carriera editoriale di Wolverine, e che Marvel Comics e gli sceneggiatori del personaggio avrebbero invece dovuto fermarsi proprio in quel momento, in quel 1991, ed evitare tanto inutile accanimento successivo.
Wolverine – Arma X (Grandi Tesori Marvel)
di Barry Windsor-Smith
traduzione di Andrea Plazzi
Panini Comics, 2017
152 pagine, 25,00 €