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Krazy Kahlo: “Un regalo prima di dire addio a Frida”. Intervista a Marco Corona

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Marco Corona è autore dalla carriera prolifica, lo testimonierà una vasta mostra che il festival BilBOlBul gli dedicherà a Bologna, a ripercorrere tutta la sua produzione. Artista inafferrabile ed eclettico, da sempre autore di storie dalla forte carica surreale, Corona ha da poco realizzato una nuova versione di una dei suoi primi lavori, la biografia di Frida Kahlo.

Krazy Kahlo (001 Edizioni) è una versione rivista ed espansa di Frida Kahlo – una biografia surreale (Black Velvet, 2006), ma – come ci spiega Corona stesso in questa intervista – è un lavoro del tutto nuovo, ben lontano dall’essere considerato un semplice remake o una riedizione.

Krazy Kahlo è un viaggio nelle tematiche più care a Corona, un percorso di scoperta di due artisti, sia Frida che Marco.

Leggi l’anteprima di Krazy Kahlo.

Frida Kahlo marco corona

Perché hai deciso di tornare a lavorare su Frida?

Volevo farle un ultimo regalo prima di dirle addio, un modo per chiudere un discorso iniziato parecchi anni fa.

Inizialmente, come ti sei avvicinato e appassionato a Frida?

Roberto Cavallera è l’uomo che mi ha fatto conoscere Frida. Prima di allora sapevo chi era ma non le avevo mai prestato molta attenzione, anche perché quando frequentavo la Scuola d’Arte di Saluzzo, l’Argan le dedicava solo un misero trafiletto. Leggendo la biografia di Hyden Herrera ho imparato a conoscerla meglio e ad amarla.

Durante un incontro a Lucca Comics hai affermato di aver sempre provato una sorta di empatia nei confronti della figura di Frida. Come mai?

Conoscendola ho scoperto che avevamo subito la stessa operazione alla colonna vertebrale, anche se in tempi diversi e per motivi differenti. Forse leggendo la sua vita e guardando i suoi lavori avrei imparato a convivere con il dolore e sarei diventato un grande artista.

Il tema del dolore sembra centrale, soprattutto nella nuova parte. Perché proprio ora?

Volevo mostrare un dolore talmente intenso e insopportabile da aprirti innumerevoli porte in mondi sconosciuti, a volte meravigliosi, ma spesso orrendi. Se nella vecchia versione tutto scorre tragicamente in modo lucido e freddo, in questa nuova versione quello che ho disegnato tende a prendere linee di fuga eccessive. Per me il fumetto è la gabbia perfetta in cui vivere e dove decido di fare vivere e soffrire i miei personaggi, veri o falsi che siano, vivi o morti.

Il nuovo libro non aggiunge pagine solo alla fine della vecchia versione. Come ci hai lavorato? In che tempi e con che processo produttivo?

Per questa storia mi servivano principalmente due cose: uno stile onirico per la prima parte e un secondo stile più realistico per la seconda, ma con gli stessi elementi grafici a fare da raccordo al tutto.

Frida Kahlo marco corona

Se ho capito bene, non lo consideri un remake o una nuova versione, ma un proseguo. È così? Perché?

Nella prima edizione ho raccontato la sua vita in modo surreale seguendo un ordine cronologico e aprendo ogni tanto un siparietto di vita coniugale sfuggito alla cronaca rosa del tempo. Tutto inventato ma verosimile, almeno per me. In questa nuova storia, Frida deve fare i conti con la Sindrome di astinenza, la scimmia per intenderci, e la morte che diventa improvvisamente l’unica scelta possibile e desiderabile. Un proseguo e una fine insieme, come due persone che si salutano da un’ora finché una delle due dice: “Adesso devo proprio andare”.

Come è cambiato il tuo approccio al fumetto dalla prima Frida a ora?

L’approccio alle due versioni è stato diverso, mi sembra normale. Per questa nuova edizione pensavo inizialmente a una semplice introduzione che giustificasse l’ennesima ristampa, poi mi sono fatto prendere la mando e ci ho costruito una storia dove il dolore fosse il protagonista assoluto. Il sogno iniziale è solo un viaggio verso il risveglio e la crisi di astinenza da morfina che ne segue, un dolore talmente forte da generare visioni.

Salta all’occhio come sia diverso il segno tra le vecchie pagine e le nuove. Le prime dal segno morbido e fluido, le seconde con tratto frenetico e graffiante. Come mai?

Frida lo considero il mio primo fumetto e il segno così preciso della prima versione nasconde la mia insicurezza di allora. Adesso che sono vecchio e saggio disegno con più scioltezza e forza di quand’ero giovane e pieno di energie. Per la parte del risveglio invece mi sono appoggiato alla penna stilografica Lamy, mia fedele spada che da anni mi accompagna nelle mie battaglie. È un pennino semirigido da scrittura che uso per disegnare, nessuno come lui mi fa sentire così a mio agio. E qui spero traspaia tutto il mio amore per i supereroi della Marvel con quella dinamicità esasperata dei corpi e dei movimenti, dell’ambiente stesso, che mi serviva per bilanciare la scelta di mostrare Frida unicamente coricata nel suo lettone, nella sua stanzetta, sola con con le sue corna e il suo dolore, acconciata come dovesse andare a una festa.

Poi, inserire la poesia di T.S. Eliot per dare un ritmo più lento a queste pagine troppo cariche è un’idea di Alessandro Ferraro, che me l’ha fatto notare, che ringrazio.

Sin dal titolo è evidente la citazione di Krazy Kat di George Herriman. Come mai hai affiancato queste figure apparentemente così distanti?

Krazy Kat di George Herriman è il fumetto che più risponde alla mia idea di fumetto, insieme al periodo d’oro della Marvel, ai Moomin di Tove Jansson e al Dino Buzzati del Poema a fumetti, e a mille altre influenze che ci sono ma non si vedono.

Leggi anche: Gli sketchbook di Marco Corona, dalla mostra di BilBOlBul
Frida Kahlo marco corona
Nel rapporto Krazy Kat/Frida mi viene da pensare a un ragionamento sull’amore e anche ai luoghi, per l’aridità di Coconino County che sembra il Messico.

Coconino è il deserto immaginario che dobbiamo attraversare per raggiungere il Messico, le nuvole e la faccia triste dell’America, con o senza muro. L’amore che Krazy Kat prova per Ignatz Mouse è totale, come quello di Frida Kahlo per Diego Rivera.

Ci vuole una faccia come il culo ad imitare il segno di Herriman, tenendo conto che il suo segno e la sua poetica sono una cosa sola. A me serviva solo quel certo tipo di atmosfera, ma sapevo che avrei dovuto prima mettermi a disegnare. Nel momento in cui mi sono sentito arrivare una mattonata sulla nuca ho capito che potevo iniziare.

Durante l’edizione di quest’anno di BilBOlBul ti è dedicata una grande mostra. Cosa c’è da aspettarsi? Come ci hai/avete lavorato?

I ragazzi del Bilbolbul hanno il difficile compito di dimostrare che tutti i disegni che verranno esposti sono frutto di un’unica mano, la mia. Mi piacerebbe che la mia mancanza di stile venisse finalmente riconosciuta. Il lavoro che sta dietro una mostra di questo tipo è fatto di tanti incontri, molte e-mail e tantissime telefonate. A questo punto sono curioso di vederla allestita e di festeggiare con i curatori, che ringrazio per la dedizione e l’amore che ci hanno messo.

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