Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le coversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
John Martz, grafico e fumettista canadese, è autore di Destination X e A Cat Named Tim and Other Stories (nominato agli Eisner Awards). Le sue illustrazioni sono apparse su MAD Magazine, Slate, The Nib e The Washington Post. Il suo ultimo lavoro, uscito per i tipi di Koyama Press, è Burt’s Way Home.
Il mio interesse per i fumetti iniziò con le strisce che leggevo sui giornali. Fu soltanto quando finii la scuola e traslocai che scoprii i graphic novel e i fumetti letterari. Jimmy Corrigan uscì l’hanno che mi trasferii a Toronto e mi cambiò la vita per come mi fece ripensare alle possibilità espressive dei fumetti. Ho il ricordo vivido di me che leggo questa pagina per la prima volta e la studio.
È vero, però, che questa pagina non rappresenta ciò che ci immaginiamo essere una “pagina di Chris Ware”. Non ci sono impaginazioni complesse o diagrammi e non c’è dialogo. Ma è una piccola gag perfetta, una sequenza uno-due: succeda questa cosa nella prima vignetta, succede quest’altra nella seconda. Gioca con le nostre aspettative di lettori. Il piccolo Superman nell’angolo superiore sinistro si sta preparando a volare. Conosciamo i supereroi e riconosciamo il costume e il mantello. Il suo linguaggio del corpo rinforza le nostre aspettative – è pronto a prendere il volo.
Quello che trovo interessante dei fumetti è che ci permettono di vedere momenti temporali diversi allo stesso tempo. Anche se guardiamo la prima vignetta e basta, non possiamo fare a meno di notare la tavola intera e il fatto che la seconda vignetta sarà quasi identica alla prima. Pensiamo che Superman avrà preso il volo nel passaggio successivo e un’occhiata veloce ci mostra che la macchia gialla di cielo che incorniciava Superman nella prima vignetta in effetti è vuota in quella dopo. Ma allora perché l’inquadratura non si è spostata in alto per seguire il suo volo? È allora che buttiamo l’occhio in bacco per scoprire che si è schiantato al suolo. Superman è anche l’unico punto di colore in una scelta altrimenti monocromatica, proprio per fare in modo che non ci sfugga di vista. È una piccolissima scena, costruita in due momenti. Il finale è allo stesso tempo sorprendente e inevitabile. Usa la modalità di lettura dei fumetti da sinistra a destra e dall’alto al basso per giocare con il lettore e l’esito è sia tragico che profondamente buffo.
Quella macchia di cielo giallo è un po’ il cuore della composizione, immersa com’è tra il nero degli edifici.
E la ripetizione della vignette e l’impatto della gag (gioco di parole non voluto) serve a rinforzare l’immagine nelle nostre menti. La scena verrà ripresa più avanti nell’opera; l’inquadratura è identica, ma l’anno è il 1892. La gente è vestita secondo la moda, c’è un calesse trainato da un cavallo, ma si riconoscono gli stessi edifici. Sono coperti da striscioni rossi bianchi e blu per via dell’Esposizione Mondiale di Chicago. Nella parte alta, in quello spazio negativo tra i due palazzi, è appesa una bandiera che assomiglia quasi a un mantello. La reazione composta della folla aggiunge umorismo. Col progredire delle pagine, il corpo di Superman è lasciato lì nella pioggia.
Quando hai scoperto Jimmy Corrigan?
Mi sono trasferito a Toronto nel 2000, lo stesso anno in cui è stato pubblicato il fumetto. Ho speso un sacco di tempo nelle librerie (nel 2000 erano ovunque). C’era questa grande catena di librerie e all’epoca non esistevano le sezione dei fumetti come adesso. Non conoscevo il lavoro di Chris Ware quindi fu ancora più emozionante trovare questo libro sullo scaffale insieme ad altri romanzi e libri di narrativa. Non avevo mai visto niente del genere.
*English version in the next page.