Per festeggiare i novant’anni de l’Unità, esce oggi in edicola un’inserto speciale dedicato a Tango e Cuore, che ricostruirà quella stagione con articoli e contributi di Sergio Staino, Ellekappa, Walter Veltroni, Lia Celi, Oreste Pivetta, Stefania Franchi. Per l’occasione Renato Pallavicini ha intervistato Makkox sulle pagine del quotidiano. Il fumettista parla di quegli anni e dell’evoluzione della satira politica.
Quando uscì «Tango», tu avevi vent’anni: lo leggevi? E quanta importanza ha avuto per te?
«Sì ho letto un po’ Tango e poi Cuore, ma soprattutto, da prima, leggevo Il Male. E poi allora ero in fissa con Andrea Pazienza. Devo dire che la satira politica e la politica allora erano per me qualcosa di noioso. Ero un ragazzo degli anni Ottanta, dedito a quelle cose frivole che facevano venire i capelli dritti alla sinistra: la brillantina Tenax e gli Spandau Ballet. Oggi mi ritrovo “satiro politico” per puro caso».
Ma allora con Pazienza, come la mettiamo…?
«Andrea Pazienza faceva satira ma era soprattutto un narratore di storie umane. Pentothal, il suo personaggio, dichiara che i suoi compagni tiravano sanpietrini coscienti, lui no. Per me, prima di Andrea, il fumetto era un’altra cosa. Non avevo mai visto nulla del genere, le sue storie parlavano della vita, dimostravano che con il fumetto ci si può analizzare, confessare. Non conoscevo quel mondo: Paz mi ha fortemente influenzato».
«Tango» e poi «Cuore», aprirono coraggiosamente alla satira di sinistra nei confronti della sinistra. Che ne pensi?
«Penso che sia l’unica possibile. Si può fare satira in maniera consapevole solo su ciò che conosci che fa parte di te; ci deve essere empatia. Ad esempio mi viene bene fare satira sulla destra, perché la destra mi è familiare, la conosco intimamente: sono cresciuto in una famiglia di fascisti che, quando avevo 8 anni, mi portava ai comizi di Almirante. Cuore e Tango colpivano duro, un po’come ha fatto Nanni Moretti, affondando il coltello nella carne che conoscevano meglio. E poi Staino, già con le strisce di Bobo, era di quelli che mettevano nei loro fumetti e nelle loro vignette la componente umana; di lui mi piaceva molto come descriveva le relazioni umane».
La satira, per definizione, deve essere cattiva: quanto ci si può spingere in là nella cattiveria?
«Il limite è l’inutilità. Quando la cosa che dici non è superflua, allora puoi anche arrivare ad estremi dolorosi…».
Anche al cattivo gusto?
«Il buon gusto e il cattivo gusto servono solo per scegliere le bomboniere. Insomma, voglio dire che la satira non deve fare da ornamento, perché in questo senso anche il cattivo gusto e la cattiveria possono diventare ornamento. E comunque la satira non deve essere vendicativa».
A un certo punto la satira su carta è passata un po’ in secondo piano ed è esplosa la satira in tv. Programmi storici come «La tv delle Ragazze», «Avanzi» e tanti altri, hanno dato vita a personaggi e tormentoni di satira politica. Tu, prima sul web, e ora in tv con «Gazebo» l’hai riportata, in un certo senso, alle origini, e cioè al disegno, anche se elettronico. Che cosa ne pensi?
«È così. Io faccio quelli che chiamano fumettoni: un po’ fumetti e un po’ cartoni. Privilegio i disegni che stanno fermi, faccio muovere la camera ma non faccio animazione. Ho seguito e imparato la lezione di Supergulp (il celebre programma di Guido De Maria e Giancarlo Governi che ha portato i fumetti in tv, ndr) ma senza usare le voci, senza doppiaggio… gli spettatori devono leggere».