Ultimamente in Italia si è parlato molto di Junji Ito o di Kazuo Umezz, due maestri del manga horror. Il primo è stato uno dei fumettisti che negli ultimi anni ha segnato l’horror nipponico, andando oltre i medium. Prima di lui, Umezz aveva invece gettato le fondamenta di una nuova visione del genere.
C’è però un altro nome non meno importante in ambito di manga horror, ed è quello di Hideshi Hino. Anagraficamente sta più o meno in mezzo tra Umezz e Ito, e forse si può anche dire che il suo lavoro abbia segnato una congiunzione tra i due. Il suo è un capitolo della storia dell’horror giapponese altrettanto importante, dal segno altrettanto iconico.
A proseguire l’immersione nel body horror viscido e melmoso di Hino, dopo Hell Baby è arrivato in Italia anche Bug Boy, la cui realizzazione risale alla metà degli anni Settanta. È la storia di un ragazzino che, diventato una sorta di bruco, si aggira nelle fogne. Un tempo è stato un bambino normale, ma la sua regressione lo ha portato allo stato larvale. È disperato e ingabbiato in un corpo che non è il suo, è un Gregor Samsa che finisce per fuggire dalla città via mare, in silenzio e con le lacrime agli occhi.
L’orrore rappresentato ed evocato da Hino è gotico nel senso più viscerale ed è modernamente urbano, psicologico ed esistenziale. Con la cupezza e la capacità plastica delle proprie chine, Hino indaga il disagio giovanile alla pari di autori neorealisti come Yoshihiro Tatsumi o Tadao Tsuge. Hino lo fa entrando nei meandri della mente e distorcendo il reale.
Le reazioni che riceve il Bug Boy quando cerca di ritornare in casa sembrano le stesse che il Samsa de La metamorfosi di Kafka riceveva dai familiari, mentre il suo senso di inadeguatezza è moderno e ricorda – o anticipa allegoricamente – il chiudersi in gusci di cemento del disgraziato fenomeno giovanile contemporaneo dell’hikikomori (i ragazzi che rifiutano ogni contatto esterno).
Rantoli di rancore muovono la spirale di vendetta a cui si dedica Bug Boy dopo essere stato miserevolmente rifiutato da tutti. Il racconto di Hino è un evidente grido di aiuto, un appello alla comprensione, non solo un manifesto di sfogo e di rivalsa. Non c’è violenza irrazionale nella tragedia di Bug Boy, tutt’altro.
Dentro il guscio del bruco c’è un ragazzo normalissimo, e Hino sta dicendo a tutti di non far sì che emarginazioni del genere avvengano, che il grottesco non si realizzi nella realtà. Hino grida contro l’emarginazione, non la esalta né la compiange – seppure il ragazzo insetto pianga spesso – e non fa sfoggio gratuito di violenza.
Tutto ciò è talmente ovvio da raggiungere quasi momenti stucchevoli nella parabola del ragazzo che, emarginato dalla violenza dei suoi simili, cerca rifugio nella natura e tra gli animali ma viene tradito anche da loro.
Bug Boy
di Hideshi Hino
traduzione di Asuka Ozumi
Dynit Manga, gennaio 2019
Brossurato, 206 pp., b&n
16,90 €