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Le ferite aperte di un Secolo Lungo: “Berlin” di Jason Lutes

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Il racconto storico è una sfida sempre difficile per il fumetto. Il fumetto evoca, non rappresenta. Non è mai contemporaneo all’enunciazione. È sempre differito, espressione di una realtà separata nel tempo e nello spazio.

berlin 3 jason lutes

La ricostruzione storica attraverso le immagini disegnate non può fare riferimento fedele a documenti e fonti dirette; può semmai reinterpretarli attraverso il segno del suo autore: per questo, è sempre una evocazione linguistica, visiva. Al di là della precisione e della finezza della rappresentazione, ciò che emerge nella rievocazione è il suo valore attuale, il suo rapporto con il contemporaneo. Rievocare il passato serve a dare corpo al presente, lo definisce, e ne costruisce un’identità.

Jason Lutes iniziò Berlin nel 1996. Aveva 29 anni, viveva a Seattle, ed aveva appena ottenuto un buon riscontro da un racconto intimista pubblicato dapprima a puntate a sue spese e poi raccolto in volume dalla canadese Drawn & Quarterly nel 1994 (Jar of Fools, in Italia Giara di stolti, pubblicato da Black Velvet nel 2000), nel quale aveva dato prova di uno stile già maturo, dal segno netto e preciso, con una linea chiara di ispirazione europea.

Per il suo lavoro successivo, si rivolse di nuovo a un’epoca e a un’ambientazione a lui distanti, stavolta con tratti ancor più realistici rispetto al libro precedente. La sua ambizione, fin da principio, era quella di costruire un affresco importante, nella struttura e nella mole, che raccontasse gli anni della Repubblica di Weimar: quel periodo storico, grosso modo intorno agli anni Venti e Trenta, che va dalla fine della Prima guerra mondiale alla presa del potere del Nazismo in Germania.

Un’epoca di grandi turbolenze e di estrema povertà per una Germania che usciva sconfitta e umiliata dalla Grande Guerra e si trovava ora coinvolta in una nuova guerra civile tra chi credeva che la riscossa dei lavoratori si potesse ottenere con l’ascesa del Comunismo (come nella Rivoluzione Russa del 1917), e chi invece rispondeva con violenza ai fermenti rivoluzionari, ribadendo il primato del popolo germanico.

Erano anni turbolenti e feroci, per la Germania e per Berlino in particolare: Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, tra i fondatori del Partito Comunista Tedesco, nel 1919 vennero assassinati proprio in quelle strade da formazioni paramilitari vicine al governo socialdemocratico. A queste tensioni si univano però anche solide speranze di rinnovamento e grandi cambiamenti nel gusto e nel costume delle élite borghesi, alimentate da lucide utopie. Una nuova musica proveniente dall’America, il jazz, riempiva le sale dei locali notturni e dava corpo a questo nascente sentimento, carico di energie e di incertezze.

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Negli anni tra le due guerre mondiali, Berlino esprimeva perfettamente quel caotico miscuglio di paure e di opportunità. Era il Novecento in tutte le sue contraddizioni e le sue crudeltà; un piccolo universo nel quale un intero Secolo trovava compimento, in ciò che era e in ciò che, in seguito, sarebbe diventato.

Un tema complesso e carico di potenzialità per il giovane Jason Lutes, che forse, accingendosi all’impresa, non poteva immaginare che questa lo avrebbe tenuto impegnato così a lungo. Eppure, nella saga in ventidue albi (raccolti in tre libri) c’è tutto questo e altro ancora. Per dare sviluppo alla sua corposa rievocazione, Lutes sceglie di affidarsi a una manciata di personaggi, lasciando che siano loro il fulcro della narrazione, con le loro scelte, i loro errori, le loro problematiche relazioni.

Per prima, Marthe Muller, una giovane artista che fugge da Colonia per realizzare i suoi sogni di carriera. Sul treno in arrivo a Berlino conosce Kurt Severing, giornalista di qualche anno più vecchio di lei, con il quale intreccerà una relazione sentimentale e un’amicizia profonda. Inutile aggiungere che, nei molti capitoli di questo lungo romanzo, i due vivranno alterne fortune e momenti difficili. E poi c’è Silvia Braun, bambina costretta a crescere troppo in fretta; Anna Lencke che si veste da uomo e ama Marthe al punto da lasciarla andare; Margarethe che si trascina a una festa a un’altra e forse ha capito come andranno le cose.

Lutes insegue questi personaggi per le strade di Berlino, li vede crescere, scontrarsi, lasciarsi e ritrovarsi, mentre da diverse angolazioni partecipano agli eventi che cambiano la forma della città e la conducono verso un destino (a noi) ben noto: come la strage del Primo maggio del 1929, in cui una importante manifestazione a favore dei lavoratori venne fermata con il sangue. Forse la Storia avrebbe preso un’altra direzione se quel giorno le cose fossero andate diversamente; ma la rievocazione esige le sue vittime e le sue tappe forzate, e il lettore non può fare altro che assistere impotente.

Nel corso del primo volume (La città delle pietre, 2001) e del secondo (La città di fumo, 2009), ripercorriamo attraverso i personaggi le tappe che conducono all’esito definitivo, prevedibile ed ineluttabile. Le tracce che porteranno agli orrori del Nazismo qui restano ancora sottili. Sono i personaggi, con le loro debolezze, i loro rancori, le loro speranze e il loro tragico affannarsi verso il futuro, a dare sostanza drammatica alla rievocazione.

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Il terzo volume, La città della luce  uscito nel 2018 per la Drawn & Quarterly e a breve distanza di tempo in Italia per Coconino Press – porta a compimento le oltre seicento pagine dell’opera di Lutes.

Lutes ha realizzato una ricostruzione precisa e potente, che suona viva e attuale oggi più di venti anni fa. Parte dell’epilogo – cioè l’aspetto storico – è nota e prevedibile, perché ormai “scritta”. Ma è la narrazione di Lutes a restare costantemente ispirata e fluente, soprattutto nelle sue parti di fiction. I personaggi che abbiamo imparato a conoscere trovano un loro destino, nell’amara consapevolezza di ciò verso cui andranno incontro.

Scorre nelle ultime pagine l’immagine di una città che cambia lungo il Secolo, mostrandosi ferita dalla Guerra, distrutta dai bombardamenti, poi ricostruita, e in seguito tagliata in due da quel Muro che ha rappresentato, con la sua stessa esistenza, la follia e il dramma della Guerra Fredda; fino ad arrivare alla Berlino di oggi, cosmopolita e futuristica, immortalata in una fotografia a colori.

Una Berlino che mostra ancora le ferite di un Secolo che, a scapito di chi lo ha definito Breve, appare invece tutt’oggi vivo e lunghissimo, sanguinante. In quei pochi anni che hanno visto la nascita e la dissoluzione della Repubblica di Weimar si è realizzata la storia di un Secolo intero, con le sue tensioni e le sue aspirazioni, le paure e le violenze che ancora oggi riaffiorano in modi inaspettati, a ricordarci che le ferite del Novecento non sono affatto guarite.

Ecco forse, il senso e l’importanza delle rievocazioni: riconoscere nelle forme del passato i segni del nostro presente; ripercorrere quello che è stato, non per celebrarlo, ma per non ripeterlo, per non riaprire all’infinito le stesse dolorose ferite.

Berlin vol. 3 – La città della luce
di Jason Lutes
traduzione di Valerio Stivè
Coconino Press, ottobre 2018
brossurato, 176 pp, b&n
17,00 €

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