*di Paul Karasik
Questo saggio è tratto dal volume Jack Kirby. Mostri, uomini, dèi, curato dall’associazione Hamelin in occasione della mostra dedicata a Jack Kirby per l’edizione 2018 di BilBOlbul.
Dopo quarant’anni di pagine di fumetti, la carriera di Jack Kirby culminò alla Pacific Comics, dove l’artista avrebbe dato vita, fra i suoi ultimi lavori, a Silver Star e Captain Victory. Questo periodo viene ignorato da molti, come minore e insignificante: gli ultimi sprazzi di un sensei che sta invecchiando e i cui periodi migliori risalgono a vari decenni prima. Io non sono d’accordo.
Eresia per la maggior parte dei fan di Kirby che restano fedeli alle sue prime storie di supereroi – come fossero la quintessenza della sua opera artistica – oggi trovo i Fantastici Quattro una noia e Thor una barba. Questo non significa che non abbia gustato ogni numero di queste serie da bambino. L’ho fatto!
Questo pomeriggio ho letto a mio nipote di tre anni lo stesso libro quattro volte consecutive. Ogni volta che lo leggevo mettevo l’accento su parti diverse, cambiavo gli effetti sonori e le voci, ma si trattava di fatto della stessa cosa, ripetuta quattro volte di fila… e lui l’ha adorata. anzi, mi ha chiesto una quinta lettura, e sarebbe stato pronto ad ascoltarla se l’attrazione per i sottaceti non avesse prevalso. Ama i sottaceti più di qualsiasi altra cosa, in questo momento. Comprendo totalmente questa passione per la ripetizione che costituisce un elemento primario della mia adorazione infantile per i fumetti. La struttura di un tipico fumetto della Marvel o della DC ai tempi della mia giovinezza era praticamente la stessa. tutti i cicli di storie avevano picchi e discese simili. Erano proprio queste confortevoli somiglianze – e le sottili differenze – che mi facevano tornare a prenderne ancora.
Ma i gusti cambiano. Avrò probabilmente centinaia di fumetti di Kirby – la maggior parte dei quali risale a quello che è ritenuto il periodo d’oro dell’artista – nella mia cantina, chiusi in buste di plastica che non sono state toccate da mani umane – e nemmeno da ossigeno fresco – per decenni. Quali mi capita di rileggere? Quegli ultimi titoli che Kirby realizzò con la Pacific Comics. E mi rendo conto, pensando a come mi fanno sentire quegli albi, che mi catturano nello stesso modo in cui vengo bizzarramente incantato dagli ultimi lavori di un fumettista completamente diverso: Frederick Burr Opper.
Così come Kirby diede forma al comic book di supereroi della metà del novecento, Opper diede forma alle strisce a fumetti nello stile delle comiche dei primi dello stesso secolo: moltissime sono le differenze fra i due – ma nelle loro carriere ci sono anche delle somiglianze. Entrambi lavorarono senza soste per anni, finché non mollarono. E negli ultimi anni della loro produzione, la supervisione degli editor era chiaramente scarsa.
Come Kirby, anche Opper era una “macchina da disegno”. Ha disegnato ogni giorno della sua vita adulta (e per la maggior parte della sua adolescenza). Passò i suoi ultimi anni con la testa sempre più vicina al tavolo da disegno mentre i suoi occhiali continuavano a inspessirsi. Gli ultimi disegni di Happy Hooligan (Fortunello) e Maud the Mule (La checca) furono realizzati da un uomo che disegnò ogni giorno della sua vita finché tracciare linee non divenne come una seconda natura… o forse anche la prima.
È difficile pensare che qualcuno fornisse più a Opper alcun tipo di feedback editoriale, men- tre settimana dopo settimana i suoi personaggi venivano tormentati e ritormentati con sigari che esplodono, secchi d’acqua e calci di mulo – come era stato per decenni. Le ultime strisce di Happy Hooligan hanno una qualità grafica a dir poco azzardata e le storie sono semplicemente svitate. Spesso hanno a malapena senso – tanto che ora potrebbero essere viste come delle gag postmoderne sul fare gag.
La produzione finale di Kirby (e, suppongo, anche la fiducia dell’artista nella propria competenza e totale scioltezza con il medium del fumetto) fu per certi aspetti davvero simile. Anche i fumetti che Kirby realizzò nel periodo della Pacific sono abbastanza bizzarri; non che siano complessi o eccessivamente elaborati, sono solo difficili da seguire – e stiamo parlando di un artista il cui obiettivo, nel fiore degli anni, era sempre quello di raggiungere il lettore, un lettore molto specifico che attendeva storie sul bene e il male, sul conflitto e i super-poteri, spesso con un po’ di tecnologia e un sacco di botte. Le ultime creazioni di Kirby sono eseguite con energia e dedizione, ma si dovrebbe quasi essere nella sua testa perché le trame diventino comprensibili. Spesso hanno a malapena senso – tanto che ora potrebbero essere viste come delle storie di supereroi postmoderne sulle storie di supereroi.
Le prime cinque pagine di Captain Victory n.9 mostrano ciò che Kirby stesso avrebbe po- tuto intitolare Jack Kirby scatenato!. Il fatto che non ci sia alcun editor nei ringraziamenti è indicativo. A pagina uno, Captain Victory e il suo compagno, Klavus, si sono addentrati in una “distortion zone”, e i loro volti marcati sono divenuti gonfi e deformi. La mano di Captain Victory si è trasformata in dei tentacoli. Vista la modalità unica con cui l’artista creava connessioni nella rappresentazione degli oggetti meccanici – per cui tutta l’attrezzatura veniva assemblata come un puzzle ma nessuna delle sue funzioni è descritta chiaramente – è difficile dire se anche gli strumenti all’interno della navicella spaziale siano stati alterati.
Voltando la prima pagina, ci troviamo di fronte a una doppia pagina che solo kirby avrebbe potuto realizzare (con l’armoniosa, precisa inchiostratura di Michael Thibodeaux). Dato che il balloon proviene dall’oggetto a sinistra, possiamo dedurre che quella sia la navicella di Captain Victory (“The Tiger”) che sfreccia attraverso quelle che – così ci dicono – sono “di- verse aree di concentrazione dimensionale”. Qui, Kirby si concede “la licenza di uccidere”: libera improvvisazione grafica condotta da una mano esperta. La navicella è identificabile come un oggetto artificiale di qualche tipo, ma tutto il resto è un vortice di panorami spaziali immaginari… alcuni elementi sembrano costruzioni, altri potrebbero essere naturali. Kirby disegna queste forme con convinzione. Forse l’artista sapeva cosa stava disegnando, ma il lettore può solo guardare a bocca aperta.
Soprattutto dopo aver usato due pagine per stupirci con una visione privilegiata della va- sta realtà delle aree di concentrazione dimensionale, ci aspettiamo – voltando pagina – di tornare all’interno della navicella e alle peripezie dei passeggeri alterati. Ci aspettiamo che la storia vada avanti. Invece c’è un’altra doppia pagina! Wow! ancora a bocca aperta!
È difficile dire cosa abbia a che fare questa seconda doppia pagina con quella precedente. Kirby avrebbe potuto sceglierne solo una delle due, ma le usò entrambe: di nuovo, una combinazione di elementi naturali e artificiali… ma diversa. La navicella si muove ora in direzione opposta, da destra a sinistra, forse obbedendo alle forze della zona di alternazione più che alle leggi della convenzionale narrazione a fumetti. Perché? Perché due doppie pagine che ritraggono dei panorami così simili dando pochissime informazioni per procedere con la storia? Beh, perché no? Se si fosse trattato di una storia dei Fantastici Quattro degli anni sessanta, potete star certi che Kirby sarebbe stato tenuto a freno dalle definite trame causa-effetto di Stan Lee. In Captain Victory scordatevi della causa: è tutto un glorioso effetto.
Per quanto riguarda il resto di Captain Victory n.9, è difficile comprendere esattamente cosa accade. È un racconto a episodi senza alcun focus narrativo preciso. Accadono cose, i personaggi parlano, ma per me è difficile decifrare cosa succede di preciso e cosa si dicono. Tutto ciò è sconcertante e persino esasperante, sebbene, una volta che ci si sintonizza sulla sua frequenza e ci si arrende alla totale mancanza di una storia e di una narrazione tradizionali, è una bomba. Kirby si diverte quando disegna, crogiolandosi nella gloria della sua raffinatissima abilità e – in qualche modo – quel divertimento è contagioso.
Gli ultimi fumetti di Kirby non sono tanto caratterizzati da una narrazione sequenziale, quanto da una produzione sequenziale di immagini… diversi dagli scontati fumetti della Marvel Comics e più simili agli art comics del Fort thunder, ma senza pretenziosità.
Insomma c’è in questi lavori qualcosa di onesto e diretto che mi attrae più di qualunque altra cosa abbia realizzato. Per tornare a mio nipote: come narratore, è nella fase in cui inizia con un’ambientazione e un personaggio, e poi quando parla iniziano ad accadere – senza troppi presupposti – delle cose al personaggio. Mio nipote crea storie speditamente, accumulando frammenti di vicende e interazioni fino a quando, improvvisamente, la storia è finita ed è il momento di un sottaceto. Come quello di Kirby, è un processo improvvisato e magnifico.
Il Jack Kirby del periodo di Captain Victory non è la stella cadente di un artista, ma una supernova che esplode nella gloria. è Jack Kirby che si scatena, come un Hulk con la matita.
Questo saggio è stato originariamente pubblicato su Kirby 100, a cura di John Morrow, TwoMorrows Publishing, 2017.