Ho sempre trovato affascinante l’universo dei fumetti su licenza. Questi prodotti, che sono una traduzione e un adattamento di altri media, esercitano su di me un ascendente quasi perverso, perché nello iato tra un fumetto e un film (o un libro, una serie tv, una linea di giocattoli) succede qualcosa di violento, spesso magico, a volte orribilmente sbagliato.
I fumetti di Star Wars, per esempio, sono buoni prodotti d’intrattenimento da cui traspira l’affanno nel fiato per stare dietro a una saga cinematografica che nasce per essere azione, suono, movimento, musica, tutti aspetti che giocoforza un fumetto non può gestire; i Transformers hanno invece trovato nel fumetto un luogo dove germogliare, crescere ed evolvere dal brodo primordiale di design avulsi e personaggi senza passato in cui li avevano lasciati i loro giocattolai; Alien e Predator insieme hanno creato un mini impero autorigeneratosi al punto da fare il giro e tornare, rinnovato, al mezzo di partenza, il cinema; I Simpson con il sistema fumetto hanno intrapreso un recupero scemo di un particolare genere, il comic book da due soldi degli anni Cinquanta in cui storie pulp si intervallavano a pubblicità per corrispondenza piene delle promesse più balorde o dei sogni consumistici più fragili (gli occhiali a raggi X, le scimmie di mare).
Gran parte delle iniziative ha un solo esito, l’obsolescenza. Perché non c’è una linea d’azione chiara, con un pubblico in mente e uno stile coeso da adottare, perché il concept alla base è ormai una carcassa scarnificata fino al midollo o perché, anche di fronte a un’idea ben eseguita, il titolo non è abbastanza di richiamo.
I fumetti di Steven Universe non ricadono in nessuna di queste evenienze, eppure possono dirsi difficilmente memorabili. La serie di Cartoon Network con protagonista Steven Universe, un giovane ragazzo che vive nella fittizia città di Beach City insieme alle tre aliene Garnet, Perla e Ametista, fa parte di quell’universo produttivo che annovera tutti i figli di Adventure Time. La creatura di Pendleton Ward non solo ha influenzato tutti i cartoni che cercavano di unire commedia, surreale e fantastico, ma ha accolto molti artisti che, quando poi si sono staccati per creare i loro show, sono rimasti ancorati a quel modello.
Rebecca Sugar, autrice di Steven Universe (e prima donna ad aver creato una serie di Cartoon Network), è stata una delle tante a uscire dalla scuderia di Ward per sperimentare in solitaria. Le è andata bene, e Steven Universe, pur non attecchendo come Adventure Time, si è costruito una nicchia di fedelissimi.
Pubblicata da Boom! Studios (che sulle licenze a fumetti ha costruito il proprio catalogo) e portata in Italia da Tunué, la miniserie Steven Universe e le crystal gems parte da una premessa elementare: cosa succede quando le storie che si raccontano intorno al bivacco del campeggio dell’orrore – in particolare quella di un mostro di vetro che pietrifica gli abitanti di Beach City – diventano realtà?
Purtroppo, come il corrispettivo televisivo, il fumetto di Adventure Time toccava vette che a Steven Universe riesce difficile anche solo guardare (premi Eisner, lodi sperticate). Di Steven Universe e le crystal gems c’è infatti poco da dire: l’impianto grafico, debitore di Dr. Slump, è già stato definito dallo show, qui si tratta di ripercorrerne i passi senza uscire dal seminato.
Chrystin Garland disegna Steven, Garnet, Ametista e Perla come in uno dei tanti storyboard della serie, mentre Leigh Luna colora le tavole tallonando la gamma cromatica impostata dalla creatrice dello show. La poca incisività delle pagine è da ricercarsi proprio nel fatto che Garland disegna storyboard, non fumetti. Non sceglie un momento dell’azione e passa al successivo cercando di collegarli nel modo più armonioso possibile. No, disegna ogni momento di quell’azione come se stesse spiegando agli animatori come mettere in scena la sequenza. Questo porta, oltre a una decompressione pazzesca, a una costruzione della tavola tutt’altro che memorabile. Funzionale, non c’è dubbio, ma poco attraente.
La storia scritta da Josceline Fenton è leggera come un’ostia e manca dei temi cari a Sugar. Nella versione animata, Steven Universe è una storia che tratta di questioni queer, dal poliamore al genere non-binario (in alcune puntate Steve si fonde con l’amica Connie e insieme danno vita all’androgina Stevonnie) ed è uno dei pochi cartoon a evadere dai canoni eteronormativi. Qui c’è solo un’avventura che fila senza intoppi e non mette nulla di cui discutere sul piatto.
Steven Universe e le crystal gems non sfigurerebbe tra gli episodi della serie animata regolare. Certo, non sarebbe tra i migliori. Il mestiere di Fenton e Garland nulla può contro i nomi schierati da Adventure Time (che vantava contributi di gente come Paul Pope, Michael DeForge e Jim Rugg) e facendo a meno delle questioni più topiche sollevate dallo show, si arrende a essere una lettura piacevole che i piccoli non dovrebbero trovare di alcun affanno. Nemmeno i grandi, se è per questo, ma è difficile che ne ricavino un qualche piacere.
Steven Universe e le crystal gems
di Rebecca Sugar, Josceline Fenton, Chrystin Garland
traduzione di Omar Martini
Tunué, settembre 2018
brossurato, 128 pp, colore
12,50 €