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“Cave of forgotten Dreams”, Herzog e i più antichi disegni dell’umanità

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di Stefano Ricci*

Venticinque anni fa sono state trovate a Vallon-Pont-d’Arc nell’Ardèche, nella regione francese di Rhône-Alpes, delle grotte fino ad allora sconosciute, non lontano dal sito in cui negli anni Quaranta erano state scoperte le Grotte di Lascaux. Per evitare l’esperienza vissuta con queste ultime, rovinate dall’accesso dei visitatori e dall’alterazione del delicato microclima interno, nelle grotte di Chauvet possono entrare solo studiosi, dopo aver ottenuto una autorizzazione speciale.

Il Ministero della cultura francese ha dato l’incarico al regista Werner Herzog di filmarle, con poche luci e una macchina da presa, così che potessero essere visibili al pubblico attraverso il documentario. Cave of forgotten Dreams, è uscito nel 2010 in 3D, una scelta che evidenzia la dimensione spaziale del luogo.

La grotta custodisce i più antichi dipinti dell’umanità, che risalgono a un tempo tra i 36.000 e i 32.000 anni fa, è il ritrovamento di pittura murale più importante al mondo. In passato un pezzo molto grande della montagna è crollato e ha protetto le grotte per migliaia di anni. L’entrata originaria è un lungo corridoio che conduce all’interno e termina in una parete, uno spazio raccolto segnato dalle impronte rosse del palmo di una mano senza dita: macchie rosse, formano una nuvola organica di tondi che si addensano. All’interno si trovano alcune sale circolari che presentano alcune singolarità. Non sono stati dipinti umani, soltanto animali.

L’unica figura antropomorfa che é stata disegnata non si riesce a vedere, perché si trova sul retro di una grande stalattite, e si è riusciti a vederla soltanto dopo la costruzione di un ponte che le si avvicina. Si tratta di una donna, dea della fertilità antropomorfa, metà donna e metà animale, letteralmente inguardabile perché non visibile, nascosta sul retro della stalattite centrale. Questa é la sala nella quale é stata dipinta una processione di animali di una potenza sconcertante: fino a ora non si erano mai visti dei disegni così. Quattro cavalli selvatici, i profili in prospettiva, disegnati col carbone in maniera molto realistica, il chiaroscuro, il volume e l’incarnato, quasi fotografici: non hanno niente a che fare con il disegno primitivo delle pitture rupestri conosciute. Compaiono anche dei segni cinetici, le zampe degli animali in movimento si moltiplicano, per costruire il dinamismo della fuga di questo branco composito di animali che scappano.

Queste grotte dovevano essere un luogo importante, un luogo mistico: il grande arco naturale di roccia, il Pont D’Arc, che sovrasta il fiume dà un aspetto sacrale all’entrata nelle grotte. C’è l’ipotesi che questo fosse un corridoio fra Francia e Germania, formatosi dopo la glaciazione. Ci sono altre grotte in Germania -si vedono brevemente nel documentario – nelle quali sono state trovate montagne di ossa, come nelle grotta Chauvet. Un tappeto di ossa di orsi, lupi, stambecchi, cavalli, una iena delle caverne e un’aquila. Sicuramente alcuni sono stati mangiati o sono morti nelle grotte, ma la maggior gran parte di questi resti dovevano in qualche modo servire ai rituali che lì si svolgevano.

Cave of forgotten Dreams

I muri di queste rocce sono mossi e la persona che ha fatto i disegni sulle pareti – in base all’impronta della mano sappiamo che la gran parte dei disegni sono stati fatti dalla stessa persona – ha dipinto gli animali sfruttando i rilievi della grotta. Ha fatto uscire i bisonti dalla roccia viva, li ha fatti salire, molto probabilmente per la stessa ragione per cui ha tracciato i segni cinetici, e cioè per dare vita alle figure. Si deve immaginare che l’unica fonte di luce era il fuoco, quindi le ombre vibravano, i volumi cambiavano producendo l’illusione del movimento.

In Germania, nello stesso luogo nel quale sono state trovate queste ossa, é stato ricomposto dai frammenti il primo flauto conosciuto, che veniva usato durante i rituali. Nelle grotte di Chauvet ancora non sono stati trovati frammenti di flauti o di altri strumenti musicali percussivi, ma è molto probabile che i riti fossero accompagnati dalla musica. Quella che vediamo sulle pareti della grotta non è una scena di caccia, non viene rappresentato il pericolo dell’animale, anche se dobbiamo immaginare che fuori il mondo fosse pieno di predatori e la grotta era certamente anche un rifugio.

Che cos’é allora l’enigma che i disegni di questa grotta contengono? Forse la domanda è più semplice. Io guardo queste cose per cercare di capire, per avvicinarmi alla radice di quello che sto cercando. In questi disegni è evidente l’intenzione di far esistere gli animali, renderli vivi e farli muovere davanti ai nostri occhi.

Non sappiamo ancora in quale maniera questi disegni contribuivano alla liturgia sacra. Però a questo dovevano portare, in modo naturale. La questione del sincrono, cioè di produrre un suono che corrisponde a quello che vediamo, va senz’altro in due direzioni: una è la perdita di coscienza delle persone che prendono parte ai rituali, che si preparano a un’apparizione, a un’epifania.

La seconda direzione è quella che porta a creare una sorta di enigma innato in noi: il sincrono fa diventare, fa camminare il tutto, produce uno stato ipnotico che ci incanta. Lo si può fabbricare in molti modi diversi. Bob Dylan lascia cadere dei fogli sui quali sono scritte le parole della canzone che sta cantando, e questa piccola sintonia ci incanta e ci attrae, ha una fisicità che supera la voce, una “fisicità visiva” che rende visibile il logos. Le parole che canta diventano cartelli che lui lascia cadere a terra, e cadendo si perdono.

Cave of forgotten Dreams

Dieci anni fa, quando ho cominciato a disegnare dal vivo con la musica, pensavo che quello che cercavo di fare arrivasse dal pre-cinema, da McCay, dall’animazione proiettata in una sala nella quale un pianista suona dal vivo. Invece facendolo, sempre di più credo si tratti di avvicinarsi a uno stato di trance, nel senso etimologico di cercare di farsi tramite, di essere attraversati dal suono e dall’energia generata dal musicista, dal disegnatore e dalle persone presenti. Anche usando i dispositivi digitali, credo comunque che si tratti di una specie di canto, un canto comune. Mi sto accorgendo che l’incanto del sincrono arriva da quella radice primitiva che ritroviamo nella grotta di Chauvet, da una domanda trascendentale e necessaria.

Non so quasi niente dell’enigma e della magia del sincrono. Aleksandr Lurija, un neurologo russo dal quale ha preso le mosse Oliver Sacks, ha studiato il cervello e la memoria, ha indagato la questione della sinestesia: negli mnemonisti per esempio, nelle persone che hanno una memoria non comune. Essi sviluppano un’attitudine naturale nel collegare un’immagine a un suono, a un odore, a un sapore. L’attitudine di cui parla Lurija è innata nell’uomo, ma credo – senza che questo venga preso come un giudizio ma come una constatazione derivata dall’osservazione – che si atrofizzi con l’uso dei dispositivi digitali. Penso cioè che il collegamento tra l’immagine e il suono, l’odore e il sapore si perda lentamente e progressivamente in noi.

Chi ha una memoria molto sviluppata ha questo dono: la ringhiera di ferro ha un suo suono. Forse é presuntuoso dirlo, ma per me è così, me ne sono reso conto leggendo i libri di Lurija e di Oliver Sacks e mi è molto utile quando insegno, quando lavoro con gli studenti. Alberto Breccia quando inchiostra con la lametta da barba compie un gesto che produce un certo suono. Il pennello ne ha un altro, che è sì un suono lirico, ma molto diverso: la lametta taglia la carta e l’inchiostro si imbeve nella carta e fa anche un filo sottile, quasi crudele, che è letteralmente un taglio, una ferita. Lo stesso succede quando disegna le rughe di un volto, anche loro hanno un suono, sottile e vivo, acutissimo.

Non ne sono sicuro ma credo che l’incanto che si prova di fronte al sincrono corrisponde all’atto di vedere la vita che prende forma, di vedere l’enigma principale, di vedere una cosa che prende vita. Corrisponde anche a una forma di sapienza che é in noi, in quanto l’uomo è preparato a produrre fisicamente e biologicamente un atto sinestetico. Forse certi momenti liturgici, come un concerto dal vivo, ci riportano a questo incanto.

Le rondini si orientano con il campo magnetico terrestre,  le api hanno dei peli nelle zampe che danno loro il senso della verticalità assoluta, sono in grado di costruire l’alveare grazie a questo. Noi abbiamo qualcosa che ci avvicina a queste caratteristiche animali, abbiamo la capacità di essere attraversati dalle sinestesie che rendono vivo quello che stiamo guardando. In alcuni casi intuiamo i momenti nei quali la sinestesia si rende possibile, possiamo non riconoscerla consapevolmente, ma la sentiamo, ne siamo attratti come i moscerini da una luce elettrica, che non è il sole, ma gli somiglia. Ne siamo attratti perché in questi momenti vediamo la vita che prende forma.


*Questo articolo è originariamente apparso su Hamelin n. 45.
Stefano Ricci è un fumettista e illustratore nato nel 1966 a Bologna, dal 2003 vive lavora e insegna ad Amburgo.

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