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Taiyo Matsumoto: il mangaka di futuri nostalgici e infanzie distopiche

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Taiyo Matsumoto è forse l’autore di manga che meglio ha saputo assimilare e metabolizzare influenze provenienti dal fumetto occidentale d’autore elaborando uno stile sincero e incisivo.

Matsumoto nasce nel 1967 e debutta, a poco più di vent’anni, sulla rivista Morning (dell’editore Kodansha), sulle cui pagine da sempre trova spazio un tipo di fumetto particolarmente maturo, un seinen manga (fumetto indirizzato a un pubblico dalla maggiore età in su) che guarda spesso all’Occidente, traendone ispirazione e arrivando anche ad attirare autori occidentali (sulle sue pagine sono apparsi in passato anche fumetti di Baru e Igort).

In seguito, Matsumoto passa a lavorare quasi in esclusiva con un altro grande editore, Shogakukan, mantenendo e affermando uno stile grafico e narrativo estremamente personale e singolare nel panorama manga: minimale, perverso, surreale. La sua ispirazione principale probabilmente è da sempre Moebius. Basti aprire qualunque suo fumetto per notare quanto del segno e dell’immaginario del maestro francese lui mutui, soprattutto nelle prime opere.

Taiyo Matsumoto manga
Una vignetta da Number 5

Il tratto sottile, delicato e crudo, gli scenari acidi e lisergici di un futuro lontano prendono chiaramente le mosse dai mondi immaginati dal francese Jean Giraud – in arte Moebius – più che da qualunque altro autore giapponese. Non a caso, i fumetti di Matsumoto trovano da sempre apprezzamento in Occidente, pubblicati negli Stati Uniti – dove dagli inizi degli anni 2000 Viz è editore di buona parte dei suoi lavori – ancor prima che in Italia, dove l’autore debutta nel 2008 grazie a Kappa Edizioni con Tekkon Kinkreet (ristampato in un unico volume da J-Pop nel 2017).

Al fianco di altri mangaka come Daisuke Igarashi, Mohiro Kito, Tsutomu Takahashi, Hiroaki Samura, o Hiroki Endo, Matsumoto fa parte di una generazione ormai non più giovanissima che ha saputo arricchire il fumetto giapponese con elementi tipici del fumetto occidentale d’autore, non con sguardo affascinato e distaccato (si pensi a Jiro Taniguchi).

Autori come Matsumoto attingono dal fumetto europeo senza la fatica di doversi scrollare di dosso la patina isolazionistica nipponica. Certi suoi manga dei primi tempi non sono esenti da una possibile critica di eccessivo citazionismo. Un esempio: il manga Number 5 si apre con ambienti e figure che sembrano uscite dai mondi di Arzak o del Garage Ermetico.

A differenza di altri della sua generazione sopra citati, Matsumoto non si fa dunque alcun problema ad ammettere palesemente certi riferimenti, farli propri e portarli di fronte al pubblico giapponese; un po’ come fanno autori europei o americani non troppo distanti anagraficamente. Si pensi a Brandon Graham, autore americano che attinge da un immaginario comune a quello di Matsumoto. I due continuano probabilmente a influenzarsi a vicenda, pur mostrando allo stesso tempo una forte personalità individuale.

Taiyo Matsumoto manga
Tekkon Kinkreet

Un tratto immaginifico, sottile e misurato, ma quasi incerto contraddistingue da sempre l’approccio grafico di Matsumoto. I suoi personaggi hanno volti grottescamente realistici, contorti da smorfie perverse, inquadrati da un occhio grandangolare, come fossero ripresi da una telecamera estremamente invasiva (ma non banale quanto un effetto fish eye). I luoghi in cui si muovono questi individui allampanati e disturbati sono spesso quelli di futuri distopici, che hanno perso i tratti del nostro reali del contemporaneo, senza però assumere quelli negativi di una finzione moralisticamente post apocalittica.

Autore dal profilo sempre in bilico tra l’autoriale e il pop: i suoi lavori sono apprezzate dai lettori del manga contemporaneo più raffinato e dalla critica, ha collaborato con Nicolas De Crécy, e le sue illustrazioni sono assai popolari tra un pubblico generalista di piattaforme come Tumblr o Pinterest. In Italia (e non solo), negli ultimi anni Matsumoto si è imposto anche a un pubblico più largo di lettori, grazie al successo della serie Sunny (J Pop), il suo lavoro più maturo, che gli è valso in Italia il Gran Guinigi a Lucca Comics 2016 come miglior serie, e il Premio Micheluzzi a Napoli Comicon 2016 come miglior serie straniera.

A proposito di Sunny, in una intervista a Crunchyroll Matsumoto diceva: «In Sunnyho raccontato per la prima volta eventi che sono successi a me». È una storia realistica, per certi versi, che concilia le atmosfere lisergiche care all’autore con tematiche delicate, raccontando le vite di bambini soli, lontani dalle loro famiglie, e abbandonati alle loro fantasie. Nei sei volumi della serie, Matsumoto trova un equilibrio sia nel segno che nella narrazione, mettendo da parte la foga e la irrequietezza di altre esperienze precedenti.

In Tekkon Kinkreet (che ha ispirato anche un riuscito film animato) era spietato nel mostrare un futuro distopico estremo e disturbante di una città ritratta con maniacalità, popolata da personaggi dalle psicologie deviate e complesse. Tekkon Kinkreet racconta di due bambini, di nome Nero (Kuro) e Bianco (Shiro), che vivono in strada, costretti a separarsi, soli contro la spietata criminalità che domina la città.

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Due tavole da Ping Pong

Nei racconti brevi di Blue Spring (1993) era perverso nel raccontare l’adolescenza più violenta, senza alcun giudizio né presa di posizione, con un segno brutale e graffiante. In Ping Pong (1995; da poco annunciato per l’Italia da 001 Edizioni / Hikari, e dal quale è stato tratto un anime) si butta nel fumetto sportivo fregandosene del rigore della tavola e mettendo insieme sequenze che ricordano lo stile di regia frammentato, con vignette dal taglio audace e spigoloso alla Hiroiko Araki di JoJo. Le tavole di Ping Pong sono di una dinamicità incredibile; Matsumoto riesce a rendere avventuroso e quasi violento uno sport che si consuma nel ristretto spazio di pochi metri.

A due estremi diversi stanno invece GoGo Monster e Number 5. Il primo, del 2000, è forse già un passo verso Sunny, con le atmosfere sognanti e i protagonisti bambini. Number 5 è invece il suo lavoro più moebiusiano, spesso in bilico – almeno graficamente – tra il tributo e l’eccesso di rimandi: è il Matsumoto più fantasy, spesso criptico, che apre finestre verso mondi inesplorati e inafferrabili.

Negli anni – complice il successo, ma anche la sua vena creativa difficile da imbrigliare –, Matsumoto ha prodotto meno pagine a fumetti, lavorando con linguaggi diversi. In Kanai-kun ha illustrato le poesie dello scrittore giapponese Shuntarou Tanikawa (QUI alcune immagini dal libro, inedito in Italia). Attualmente sta collaborando alla serie di fumetti dedicati al museo del Louvre (la stessa a cui hanno partecipato Manuele Fior, Jiro Taniguchi e molti altri), realizzando Louvre no neko (“Il gatto del Louvre”).

In Italia è ancora relativamente recente la scoperta e l’affermazione di Matsumoto. Restano storie interessanti ancora da leggere e l’autore, proiettato sempre verso la sperimentazione e la scoperta di sé, sembra avere ancora molto da raccontare ed esplorare.

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