Dopo la pubblicazione – poco meno di due anni fa – da parte di Coconino Press del suo Nella camera del cuore si nasconde un elefante, la vita di Marco Galli, giovane autore originario del bresciano, ha dovuto fare i conti con l’imprevisto: alla sua porta ha bussato la sindrome di Guillain-Barré, una malattia rara che colpisce in maniera indiscriminata, producendo una progressiva paralisi con esiti talvolta nefasti, e della quale lui non ha mai avuto timore di parlare. Intubato e costretto in un coma indotto, il fumettista è tornato lentamente alla sua vita, dovendo fare i conti con le conseguenza della malattia.
Ironicamente, Marco si definisce “ape hand”, vista l’impossibilità di poter impugnare i materiali da disegno, ma non ha mai ceduto ai limiti che la malattia sembra avergli imposto. Seguo con costanza e curiosità l’evoluzione del suo segno, perché di questo si tratta: una trasfigurazione. La maturità artistica raggiunta con l’ultimo graphic novel non sembra intaccata, e il suo tratto incerto traccia storie nuove, insolitamente e sorprendentemente solide: segno del fatto che il disegno è nella testa e che sapere raccontare è un’attitudine che sembra non avere paretele dirette con la tecnica. Anzi, quanto più il segno diventa flebile e nomade, tanto più l’ingegno provvederà a trovare traiettorie nuove e modalità alternative per seguire la volontà di raccontare.
Tuttavia, nell’attesa, Marco non si sottrae al mercato e pubblica – sempre per Coconino – Le Chat Noir, la cui gestazione risale al 2012, ma che trova solo ora un posto nelle librerie italiane. Ci troviamo dinanzi a un noir, dove i riferimenti alla letteratura di genere sono evidentissimi, ma che si nutre di interferenze continue e improvvise. L’autore non nasconde che lo spunto fondamentale, quello inziale e fontale, proviene da Alphaville di Jean-Luc Godard, con i suoi scarti improvvisi che introducono in un flusso narrativo in prima persona elementi alieni (i mutanti tossici, i viaggi su marte eccetera).
Del sostrato distopico del film di Godard non v’è traccia, sebbene persista un sentimento ansiogeno e claustrofobico. Galli lo corrobora scegliendo uno stile veloce e minimalista, dove i neri bitumici diventano quasi vischiosi e sembra quasi di sentire sotto i polpastrelli la resistenza dell’inchiostro. La tavola è pregna, eppure lascia lo spazio a quello che è il carattere più avvincente di questa lettura: la voce.
Nel classico stile hard-boiled, la vicenda è narrata dal protagonista, un detective perennemente in preda ai fumi dell’alcool e dell’oppio, Eddy Levanthen, assoldato per ritrovare il misterioso Le Chat Noir. Il volto di Levanthen rimane celato, ma non la sua voce: un fiume in piena che asseconda un ritmo costante, una pulsazione stringente che ricorda il walking bass del be-bop, colonna sonora consigliata dallo stesso Galli.
I ritmi concitati e nevrotici del be-bop di Charlie Parker e Art Blakey, fatto di uno swing tutto sincopato, si legano alla voce di Levanthen, che si incardina negli interstizi, simile a cartigli e didascalie. Un racconto pertanto suonato su due registri diversi, ma che corrono all’unisono, tracciando uno spartito in cui improvvisazione e composizione hanno un unico respiro. Una suite divisa in capitoli con una postilla finale che sa di alternate take.
Trattandosi di un giallo – per quanto atipico – non svelerò nulla della trama, limitandomi a sottolineare alcuni elementi. Le Chat Noir si pone come un crocevia importante nell’evoluzione dell’autore. Da un parte, richiama direttamente noir come Il santo premier e Nero petrolio, dall’altra fa uso di tecniche utilizzate in Oceania Boulevard e a tematiche che ritorneranno in Nella camera. Soprattutto la presenza di una figura misteriosa: Le Chat Noir è infatti un prodromo di Suxi Loca, lo stesso profilo enigmatico e sfuggente che diviene fulcro narrativo.
Ma anche la figura di Levanthen, sorta di fallito romantico, allude alla crisi di Almo Brasil, il cui escapismo è quasi una metafora della letteratura di genere. Che sia l’oppio o un tuffo in acqua, la verità si presenta sotto forma di un blast improvviso: colori che conquistano la tavola, rompendo il gioco del nero. In Le Chat Noir, Galli ha voluto affidarsi ai colori di Dazio Panzieri per quattro tavole lisergiche e anch’esse piene di ritmo e di swing. Non un corpo estraneo, ma un inciso, un repentina interpretazione del tema, una sostituzione armonica fondamentale per il ritmo del racconto.
Le Chat Noir è un noir storto: Galli conosce il genere, lo affronta con consapevolenza sapendo dove creare scarti e introdurre piccole oscillazioni armoniche per far affiorare la sua voce. Usando una metafora musicale, potremmo dire che si esegue con dovizia tecnica lo spartito, ma si introduce con altrettanta bravura distonie e dissonanze, utili a rendere la lettura avventurosa e imprevedibile. La massiccia dose di ironia serve a mandare al macero qualsiasi presunta fedeltà di genere. La letteratura è bastarda, se vuole sopravvivere deve meticciarsi.
Le Chat Noir
di Marco Galli
Coconino Press, 2017
128 pp in b/n e a colori, € 17,00