Sara Spano è una trentenne che, dopo una carriera ‘tecnica’, spesso distante dal fumetto – storyboard, colori, concept e character design, dalle Winx ai Magiki – con Nine Stones ha fatto il suo debutto nelle edicole italiane in qualità di autrice ‘completa’.
Nine Stones è una crime story con elementi fantastici, basata su un approccio yaoi – un genere di manga, nato nell’ambiente fandom, che mette al centro relazioni romantiche e sessuali tra protagonisti uomini – e particolarmente cruda per il tasso di brutalità. Perfetto esemplare di quella linea fusion in cui si collocano i lavori di autrici come Barbara Canepa o di Angela Vianello, Nine Stones, pubblicata da Editoriale Cosmo, è un racconto post-adolescenziale di evidente spettacolarità grafica, in cui il colore ha un ruolo di primo piano, e che si presenta come uno dei migliori progetti yaoi italiani degli anni Duemila.
In occasione di una presentazione presso la fumetteria Comics Corner, a Genova, abbiamo incontrato Sara per una chiacchierata sul suo lavoro.
Leggi un’anteprima dal secondo albo di Nine Stones
Raccontaci la genesi di Nine Stones: è nato su Facebook per poi approdare in edicola e libreria.
I motivi per cui è nato sul web sono svariati. Ne cito alcuni: nessuno avrebbe mai voluto pubblicare una storia così, con queste tematiche estreme; ma ci sono anche altri motivi, tra cui il fatto che come autrice completa sono ancora un’esordiente. Poi ci sono i motivi legati alla serialità. Volevo che si respirasse l’atmosfera delle serie televisive moderne, “a puntate”, quindi online avrei pubblicato puntualmente sei pagine finite ogni sette giorni, sempre allo stesso orario.
Come disegni Nine Stones?
Dalla sceneggiatura preparo dei layout a matita delle pagine, li scannerizzo e li uso come base per fare le matite digitali. Finite le matite le inchiostro sempre digitalmente, usando il programma Photoshop e la Wacom Cintiq, poi stendo le basi per il colore. Ovviamente decido prima le tonalità di colore che saranno dettate dall’atmosfera (in base al sentimento che voglio far provare utilizzo determinati colori). Poi passo alla definizione, luci, ombre, volumi e profondità.
Ci sono riferimenti ad altri contesti in Nine Stones. Qual è stato il tuo processo di studio/preparazione? Soprattutto per quanto riguarda tutto l’ambiente criminale.
L’ambiente criminale, nella prima parte della trilogia (ovvero questi due volumi pubblicati in edicola), viene trattato in modo molto superficiale, volontariamente. Questo perché serve a rendere il punto di vista del lettore allineato allo stato mentale del protagonista, che non si interessa molto all’ambiente che lo circonda. Per il resto, l’organizzazione criminale viene sviluppata molto negli altri due libri, in cui si passa all’approfondimento di queste dinamiche in modo molto più dettagliato.
E come ti poni nei confronti dei tuoi personaggi?
L’ispirazione, ovvero il modello a cui mi riferisco è “americano”, ovvero uno stile di narrazione molto “tarantiniano” della caratterizzazione di questa realtà, che di realistico in realtà ha poco, se non la violenza. Per i personaggi invece ho una personale tecnica che ho sviluppato apposta per renderli molto realistici. Ovvero parto dal presupposto che sono colmi di difetti, che non necessariamente mi devono stare simpatici, ma nonostante questo modo di non assomigliarci, quando racconto il loro modo di interagire, lo faccio partendo dal presupposto “se fossi lui, con quel tipo di testa, come mi comporterei?” Ovviamente tutto partendo dalla “scacchiera” che ho piazzato sotto i loro piedi, ovvero la storia. Più che empatia è allineamento, recitare un ruolo, come gli attori di teatro. Questo mi rende facile farli muovere.
Invece di gettare il lettore immediatamente nella dimensione più cruda della tua storia, lo “accompagni” verso la sua parte più emotivamente forte e cruenta. Quale ruolo svolge la violenza?
Come parabola discendente verso l’abisso, ho usato lo stesso schema che hanno utilizzato gli autori della serie Breaking Bad, ovvero partendo da una base grottesca-drammatica, quasi da commedia, fino a scendere sempre di più verso il peggio. questo genera nel lettore un contrasto forte, che partendo già con una tragicità eccessiva, non coglierebbe.
Pensi che il mercato sia pronto per opere come la tua, che per certi versi frantumano il politicamente corretto che domina in alcuni ambienti editoriali?
Più che il politicamente corretto, Nine Stones credo tocchi dei tabù narrativi che non si fermano solo alla questione dell’omosessualità, come argomento “da non citare” perché siamo in un paese cattolico. Ci sono davvero molte persone religiose che non imbracciano i forconi davanti a una coppia composta da persone dello stesso sesso. Non credo dipenda da questo, ma proprio per come viene trattato l’argomento “relazione disturbata” tra due personaggi protagonisti a prescindere dal genere sessuale e dall’orientamento.
Quando si crea una storia c’è sempre paura che si venga fraintesi o addirittura che si venga additati come portatori di messaggi sbagliati; quando invece la natura umana è fatta di mille volti, e anche quello di persone non esattamente equilibrate è da mostrare come un esempio. Ho voluto solo raccontare una storia con temi discutibili e personaggi estremi, a prescindere dall’orientamento sessuale dei personaggi. Toccare certi temi non pone sempre l’autore in una posizione comoda, ovvero si cerca sempre di portare un messaggio positivo per non essere accusati di rappresentare male una categoria di persone. Credo che pensare che la finzione debba insegnare sia un grosso errore, da parte di tutti. La finzione è solo un’interpretazione della realtà, e di come ci si debba relazionare con gli altri, rispettando persone tanto diverse tra loro. Quindi se è stato toccato un tabù è quello della rappresentazione di una storia che ha dei risvolti viscerali e disturbanti. Più che senza provocazioni, direi senza preoccupazioni.
Come consideri il rapporto con i tuoi lettori? Quanto è importante disturbarli, suscitare sentimenti estremi? Su Facebook hai avuto qualche problema in merito, di recente.
Mi pongo in modo da non dovermi fare carico dell’educazione del lettore. Chi legge sta vivendo un’esperienza diversa dalla sua realtà: in termini virtuali potrebbe avere l’occasione di conoscersi meglio tramite un racconto, con sincerità e senza repressioni. Credo che siamo arrivati a un punto storico in cui siamo un po’ tutti stanchi di farci dire dagli altri come sia giusto comportarsi, senza darci l’occasione di camminare con le nostre gambe, allenando le doti innate come la compassione e l’empatia. Bisognerebbe pensare di più al fatto che se qualcuno non riesce a distinguere la realtà dalla fantasia, e sente la necessità di imitare quello che vede nei media (ma anche quello che c’è scritto, per esempio, nei testi sacri) senza usare il filtro del buon senso o senza una chiave di lettura, questo sia il vero un disturbo psicologico da affrontare, e non i comportamenti spontanei che vengono repressi tramite la censura. Le menti delle persone sono plasmabili solo perché abbiamo ricevuto un’imposizione a indottrinarci senza mai domandarci da soli ciò che è giusto o sbagliato, senza interpretare questo o quel messaggio esterno. Addirittura ci sentiamo in colpa a fare domande su argomenti delicati, catalogati dalla cultura come “concetti assoluti”, perché è normale per la società tenerci sempre a un livello scolare basso. E non mi riferisco alla cultura in termini di quantità di libri letti, quanto più alla quantità di curiosità esercitata dal singolo. È quella che ci fa evolvere in persone autonome ed equilibrate. Se noi artisti non cominciamo a ribellarci e a raccontare storie anche scomode, non riusciremo mai a dare l’opportunità alle persone di affrontare la vera crescita personale: stare dentro una bolla di vetro, fatta di rose e fiori, non annulla la cattiveria nel mondo, ci rende solo molto stupidi.
Il tuo lavoro può collocarsi in quella categoria nota come fusion manga di cui Barbara Canepa o Angela Vianello sono importanti esponenti. Da dove nasce questa direzione?
Non sono molto in grado di collocarmi in qualche cosa, e sulla terminologia sono davvero scarsa. Posso sicuramente dire che il genere manga e quello Disney sono le mie principali influenze. Sarei comunque davvero onorata di essere inserita nella stessa categoria delle grandi artiste che hai citato, quindi per me è un “sì” che sa più di un “evviva!”
Se non sbaglio hai iniziato la tua carriera come colorista: una figura professionale fondamentale che talvolta non riceve il giusto riconoscimento.
In realtà ho iniziato come storyboardista, anche se ho tentato alcune pubblicazioni di fumetto dopo la Scuola di comics. Il colore l’ho dovuto imparare nell’azienda 3d per cui lavoravo: facevo le colorkey per alcuni cartoni animati. Poi sono tornata ai fumetti e mi sono trovata benissimo a colorare tavole francesi e Disney Usa (fumetto e illustrazione). Amo molto il colore, mi ha permesso di crescere tanto come artista.
E l’animazione? Dal mio punto di vista è un linguaggio capace di coniugare differenti media come il cinema, l’illustrazione o il fumetto. Un territorio che ha ancora tantissimo da dirci. Com’è lavorare in questo campo?
Molto emozionante, soprattutto perché si crea una vera e propria squadra per lavorare, si sperimenta la collaborazione che è davvero importante per crescere artisticamente. Tutti pensano che la creatività sia qualcosa da coltivare nel buio della propria cameretta, ma non è sempre così. Ho trovato persone splendide con cui collaborare nell’animazione, come una catena di montaggio, ma non fredda, arricchendoci l’uno con l’altro di esperienze e punti di vista diversi, per un obbiettivo artistico comune. L’animazione non racchiude solo una bella storia nata da una giusta intuizione scritta o diretta, ma è un organismo fatto di tante persone che hanno dato l’anima a questo mestiere. “Animazione” non vuol dire solo le immagini che si muovono e danno l’illusione di movimento, ma sono ciò che ne nasce: sono “anime” create da persone che hanno messo il cuore in questi personaggi e ambientazioni, quindi vivono davvero di vita propria.
Hai nuovi progetti in cantiere dopo Nine Stones?
Sto lavorando insieme al mio compagno a una fiaba moderna che parla davvero di tutt’altro rispetto a Nine Stones. Sempre per Edizioni Cosmo, a breve ci sarà l’annuncio. Poi ci sono altri progetti con collaborazioni importanti, ma che ancora non posso annunciare.