Mi piace pensare di essere uno che non perde tempo. L’hanno detto anche i creativi, a dispetto delle belle parole del Signor Netflix: c’è troppa televisione e il monte ore è abbacinante. Tutte le contingenze mi obbligano a compiere una selezione spietata sul materiale ludico. Potrei non avere più il tempo di pentirmi per errori commessi a cuore leggero come Stranger Things. Ecco perché ho guardato solo la prima stagione di Daredevil (ma non la seconda), la prima di Jessica Jones e ho saltato a piè pari Luke Cage, mai inoltrato nella acque limacciose di Agents of S.H.I.E.L.D. (però ho guardato tutto Agent Carter e questo forse manda un po’ a rotoli il ragionamento, però dai!) e Dio mi scampi se i miei occhi cadranno ancora sul frutto del peccato.
Se devo dedicare a un prodotto audiovisivo fumettistico un minimo di dieci ore di attenzione, deve sforzarsi un po’ di più che mettersi una magliettina gialla, spaccare qualche muro e pretendere che io mi stia divertendo. Legion rappresenta un’insolitissima eccezione.
Leggi anche: Come guardare in ordine cronologico i film degli X-Men
Creato nel 1985 da Chris Claremont e Bill Sienkiewicz sulle pagine di The New Mutants, Legione, al secolo David Charles Haller, è il figlio di Charles Xavier ed è affetto da un disturbo di personalità multiple, ognuna delle quali reca con sé un potere diverso. Il suo è un percorso travagliato alla ricerca di sé, di un padre e di una stabilità psicologica. Nel 2013 David è stato protagonista di X-Men: Legacy, una serie che lo ha riportato nel radar dei lettori grazie ai testi di Simon Spurrier.
Dimenticatevi tutto quanto, perché Noah Hawley, già showrunner di Fargo, ha gettato alle ortiche qualsiasi fumetto mantenendo solo l’idea di base, per andarsene a supervisionare scrivere dirigere una serie distantissima dal materiale di partenza, dal cast (tutti personaggi ex-novo) all’iconografia (niente capello all’insù, nuovi abiti). Legion racconta della lotta di David contro la schizofrenia, peggiorata dalla sua condizione di mutante, mentre è alla ricerca di una ragazza che aveva conosciuto in clinica ma che ora risulta scomparsa, e lo fa nel miglior modo possibile.
Prodotta dagli studi Marvel in collaborazione con il canale Fox FX [grande inciso: Legion potrebbe essere il ramoscello d’ulivo nel burrascoso rapporto tra la Fox, detentrice dei diritti del parco personaggi degli X-Men, i cui destini cinematografici sono parecchio nebulosi, e la Marvel. La serie tv è prodotta sotto l’egida del canale Fox FX, famosa per concedere libertà creativa totale. E la lavorazione di Legion sembra essere funzionata così bene che, ha detto la matrona del franchise Lauren Shuler Donner a Vox, «la cosa potrebbe riversarsi anche sui film» (un po’ come per Spider-Man, che ora viene co-gestito dalla Marvel con la Sony)], Legion parte da un’introduzione al rallentatore in cui vediamo quadri della sua vita magnificamente composti e già intuiamo che non sarà la tipica televisione da supereroi.
La mano è troppo personale, lo stile retrofuturistico vorrebbe incorniciare la storia tra gli anni Sessanta e Settanta, ma la Op Art dei set e le scelte musicali si mischiano con la modernità delle auto esentando la serie dal dover trovare una collocazione temporale. La scelta di costruire la sceneggiatura attraverso continui colloqui tra il protagonista e le autorità (governative o psichiatriche) che lo valutano permettere di utilizzare David come narratore inaffidabile e saltare come un metronomo tra realtà e finzione. La storia è tutta qui, per ora, e l’impressione è che le dinamiche narrative siano l’ultima delle preoccupazioni di Hawley. Non c’è il cattivo della settimana, uno dei personaggi di supporto muore dopo poche scene e il filo logico è tagliuzzato e riassemblato come un patchwork.
Il problema (uno dei) delle serie tv Marvel è che sono noiose soprattutto sul piano visivo. Tutto è girato con una piattezza abbacinante, ogni scelta di design è scontata, ogni luce è standard. Le ultime hanno talmente abbassato il grado di fantasia, in nome di un realismo che si limita ad autoaffermare la propria superiorità senza dimostrarlo nei fatti, che prodotti come Jessica Jones hanno un occhio sulla realtà noioso e vuoto ai limiti del patologico. Viene da pensare che vengano girati così per alleggerire il carico di stimoli visivi che subisce lo spettatore, probabilmente incastrato tra gli spazi angusti di un laptot. Legion al contrario va visto su uno schermo più grande possibile – ci giocano anche realizzatori, filmando delle sequenze piattissime in formato 16:9 in un momento della storia in cui David si sente oppresso e senza via di fuga – perché imbastisce un impianto estetico pazzesco, di fronte a novanta minuti in cui succedono due cose in croce.
Quel senso di fiacchezza che nelle serie come Jessica Jones portava al desiderio di automutilazione, qui cambia di segno e trasforma Legion in «un poema tonale invece che una storia di origini supereroiche», come scrive The Atlantic. L’uso simbolico dei colori (il verde rappresenta casa – maglione della sorella, valigia – l’arancione l’identità – zucche, cappotto di Syd, coperte del letto) e le influenze di design da 2001: Odissea nello spazio e Arancia meccanica lasciano spazio a un altro modello mai citato ma che mi pare un palese punto di riferimento: L’uomo che fuggì dal futuro. Dopo dieci minuti il pilota smette i panni dell’omaggio a Kubrick e svela i propri debiti al film di George Lucas. L’uso della colonna sonora – musica e suoni ritmati che vanno dai cancelli arrugginiti ai colpi di tromba, passando per le corde di violino – con il suo tessuto di riverberi e voci passate attraverso altoparlanti scassati è in sincrono con l’alienante, e al tempo stesso ipnotico, universo sonoro creato da Lucas e Walter Murch.
Con un cast che pare in palla (un episodio è poco per valutare, ma Dan Stevens, il protagonista, dà al ruolo una carica vagamente bambinesca, nel senso buono, mentre Audrey Plaza fa la versione morigerata – e con i capelli più sporchi – del Brad Pitt di L’esercito delle dodici scimmie), la serie prende le distanze dall’universo filmico dei mutanti perché dove questi erano operistici e impegnati a mettere in primo piano lo scontro corale tra “noi e loro”, essa riconduce al singolo elemento una storia poco universale. La missione non è salvare il genere umano o sventare i piani di un pericoloso criminale. Forse nemmeno il protagonista vuole essere salvato da se stesso, magari nemmeno gli importa di essere un vero mutante (avere un potere, imparare a controllarlo, usarlo il bene comune), preferendogli la sua personale declinazione perversa. Ecco, nonostante la scarsa appartenenza al genere supereroistico, Legion è una serie tv verso cui non mi sentirei in colpa a dedicarci qualche altra ora.