Il 13 agosto arriverà nei cinema italiani Suicide Squad, il film sull’eponimo gruppo di supercattivi DC Comics assoldati dal governo per compiere missioni ad alto rischio. In previsione della sua uscita (o in seguito alla sua visione), potrebbe venirvi la voglia di approfondire la storia editoriale del team per fare un po’ di chiarezza su cosa sia basato il film, vista l’ispirazione a personaggi e fumetti non proprio di primo piano.
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Purtroppo, dare dei consigli in materia è un esercizio di raro equilibrismo: il corpo di fumetti dedicati alla Squadra Suicidi – come venne chiamata nella sua prima apparizione italiana – è esiguo (un’unica serie alla fine degli anni Ottanta e un paio di miniserie è tutto ciò che esiste prima del reboot The New 52). Inoltre, se alcune storie sono invecchiate male, altre, almeno in Italia, sono difficili da reperire o perfino inedite.
Suicide Squad
La prima, vera, Squadra Suicidi debutta nel 1959, su The Brave and the Bold #25 di Robert Kanigher e Ross Andru, ed è costituita da un plotone di soldati della Seconda guerra mondiale. Kanigher crea poi un’altra squadriglia per l’antologico Star Spangled War Stories e ai due gruppi viene dedicato un numero di Secret Origins. Tutto questo materiale è inedito in Italia, e l’unica occasione per leggere delle storie della Squad versione Golden/Silver Age è La nuova frontiera di Darwyn Cooke, in cui fa una breve apparizione.
Quando la ritroviamo nella serie Legends, ventotto anni dopo, di loro è rimasto solo il nome e un legame di parentela: uno dei membri, Rick Flag Jr., è figlio del soldato Rick Flag che faceva parte della Squad originale. In seguito all’evento Crisi sulle Terre Infinite, John Ostrander viene incaricato di modernizzare la squadriglia vista su The Brave and the Bold. All’autore pare una proposta assurda per un mensile, ma il concetto di un gruppo di black ops coi superpoteri si fa strada nella sua mente, e l’idea di un fumetto che mischi Quella sporca dozzina e Missione Impossibile gli toglie quel sorrisetto sarcastico dalla faccia.
In Legends, John Ostrander, Len Wein e John Byrne reinventano la squadra, prendendo un branco di cattivi DC di terza categoria e mandandoli in missioni internazionali per conto del governo statunitense. Nasce qui Amanda Waller, direttrice del carcere Belle Reve e creazione tra le più memorabili di Ostrander. La storia, intitolata Arriva la Squadra Suicidi, è stata pubblicata in Italia su Justice League n. 2 della Play Press. Il quadro narrativo viene poi ampliato nella serie Suicide Squad, che debutta nel 1987 con Ostrander ai testi – poi coadiuvato dalla moglie Kim Yale – e Luke McDonnell ai disegni. Nei 66 numeri della testata, Ostrander fonda l’epopea della Squad, il cui nucleo di base è composto da Rick Flag Jr., Bronze Tiger, Captain Boomerang e Deadshot.
Quest’ultimo è uno dei punti d’interesse della serie. Nato come nemesi di Batman negli anni Cinquanta, è già stato ringalluzzito nel 1977 da Steve Englehart e Marshall Rogers, che gli hanno fornito un nuovo costume (Detective Comics #474, in Italia su Batman Classic n. 1). Ma Ostrander gli conferisce spessore. Killer brutale, aspirante suicida, è il personaggio più estremo del gruppo e quello su cui convergono gli occhi dei lettori. In un episodio, quando Batman gli chiede se abbia un qualche codice morale, Deadshot risponde: «A che mi serve? Nessuno di quelli che mi ingaggiano ne ha uno». Il rimando è al suo capo Amanda Waller, personaggio atipico per i fumetti supereroici. È una donna nera, obesa, bruttarella e senza poteri, ma è la protagonista della testata e di gran lunga il carattere più complesso, dovendo tenere insieme la propria personalità e quella degli schizzati che supervisiona e proteggerli dal governo, che li usa per i suoi affari sporchi, e dagli altri supereroi, che contestano la legittimità delle loro azioni. Un unicum oggi, ancora di più all’epoca.
In Suicide Squad, Ostrander ci mette umorismo, complotti politici (senatori americani che tentano di ricattare la Squad), stretta attualità (nel fumetto compaiono Ronald Reagan, Michail Gorbačëv, il Medio Oriente – nei panni del paese fittizio Qurac) e soprattutto il tema portante: il bisogno patologico di potere che ogni personaggio manifesta.
Sarebbe tuttavia inutile parlare delle storie migliori, come quelle in cui un gruppo di terroristi attacca Manhattan (un profetico Suicide Squad #17) o quella in cui scopriamo il passato della Waller e vediamo come è riuscita a diventare la donna che non ha remore a mandare delle persone a morire (Suicide Squad #31), o quella in cui Deadshot intraprende una caccia all’uomo che gli ha rubato il costume (Suicide Squad #51). Inutile perché in Italia sono tutte inedite. Non che in America sia più facile trovarle, visto che sono state ristampate di rado, però lì online il materiale abbonda, quindi se vi accontentate del digitale puntate su quello.
Il viaggio della Squad finisce nel 1992, quando le vendite stagnanti fanno chiudere la serie. I personaggi cercano casa in altri fumetti, ma della Squad non si sente più parlare fino al 2002, quando Suicide Squad viene riavviata con una miniserie di Keith Griffin e Paco Medina, e poi nel 2007 per mano dello stesso Ostrander e Javi Pina. Queste nuove storie, tutto sommato, sono per lo più dimenticabili.
La Suicide Squad di Harley Quinn
Dopo la fine della serie, il destino della Squad sembra quello del gruppo di cattivi di serie B sacrificabili, tanto nelle storie quanto nei piani editoriali. Apparizioni in altre serie, comparsate, cambi di nomi. Poi nel 2011 arrivano The New 52, i progetti per un film, l’attenzione dei lettori, e la Squad cambia volto, introducendo lo spendibilissimo nome di Harley Quinn.
Battezzata da Adam Glass e Federico Dallocchio, la nuova serie di Suicide Squad vede al centro del progetto Waller, Harley, El Diablo, Re Squalo e Deadshot. Nella nuova continuity, questa è l’unica Squadra Suicida mai esista, per il resto l’idea è la stessa (cattivi mandati a sbrogliare missioni pericolose), anche se viene meno il respiro internazionale in favore delle relazioni che Harley ha con gli altri personaggi – in particolare Deadshot e Joker. C’è più violenza, e la Waller ha più potere: è un Nick Fury della DC (oltre a guidare la squadra, è anche a capo dell’agenzia A.R.G.U.S.) però a livello di rappresentazione gli autori fanno un passo indietro. Viene imbellettata, perde molti chili, diventa un personaggio di potere come un altro, perdendo le specificità fisiche e di carattere della gestione Ostrander.
Anche in questo caso, il materiale della nuova Squadra Suicidi è limitato ma tutto edito in Italia grazie a RW Lion. Non c’è nulla di particolare da segnalare della gestione. Però c’è un personaggio introdotto in questa serie che vale la pena approfondire, visto che sarà nel film: Harley Quinn.
Allora, Harley Quinn soffre del complesso di Deadpool (teorizzato da Dario Forti in un fondamentale intervento a tema): gli autori fanno a gara a chi riesce a scriverla più pazzerella! più sfrontata!! più comica!!!, con il risultato che la ragazza è quasi sempre oltre la soglia dell’irritante e sfocia spesso nel tedioso, financo nell’inammissibile. Dieci anni fa, la mania per Harley Quinn non era ancora sedimentata, e solo qualche nerd l’amava al punto da chiamare la propria figlia in suo onore, quindi il numero di opere che la vedono presente si è rimpolpato solo di recente.
Negli anni Novanta, Harley compariva nella testata Adventures of Batman (Le avventure di Batman, edizione Play Press), la versione a fumetti della serie tv, fuori continuity. Qualche storia buffa c’è, il problema è che sono TUTTE storie buffe, scritte e disegnata con il cipiglio del cartone. Qualcuna più divertente dell’altra (una su tutte: La scommessa, vista in Batman Black & White) ma niente che si possa indicare come l’opera che l’ha definita, reinventata o decostruita. La scelta migliore allora è la più banale: Mad Love, scritta e disegnata dai padri del personaggio, Paul Dini e Bruce Timm.
Harley è entrata nel mondo reale, il canone DC, durante il crossover No Man’s Land, per poi apparire in altre dimenticabili uscite. Ha perso il retaggio cartoonesco, è stata scritta e disegnata con meno stilizzazioni ma l’humus è rimasto quello. Andrebbe segnalata la sua prima serie solista, datata 2000, scritta da Karl Kesel e disegnata da Terry Dodson, però in Italia sono stati pubblicati soltanto i primi numeri e ci sono modi più divertenti per sprecare i propri danari (anche se i Dodson sono sempre i Dodson).
Questo per quanto riguardo l’Harley Quinn classica con il costume da giullare. Dopo il reboot New 52, Harley ha ottenuto nuove origini e un nuovo aspetto, mutuato dal videogioco Arkham Asylum. Ora è più sadica, discinta e non vive in relazione subordinata a Joker. È interessante notare come un personaggio dell’universo DC non sia stato plasmato affatto dai fumetti. A dire: la sua creazione avviene fuori dalle pagine dei fumetti – nel cartone Batman: The Animated Series – e il suo aggiornamento più recente è debitore dei designer della Rocksteady. Quindi, paradossalmente, per conoscere davvero il personaggio fareste prima a guardare la serie tv e giocare al videogioco.
Se volete un personaggio più simile a quello interpretato da Margot Robbie, la tappa obbligatoria è il mensile italiano Suicide Squad/Harley Quinn, che pubblica la serie di Harley gestita dai coniugi Amanda Conner e Jimmy Palmiotti, con Chad Hardin ai disegni. Harley Quinn si distanzia dal parco testate di Batman per ambientazioni e toni, in un recupero delle atmosfere giocose delle origini. Dopo Morte della famiglia, Harley non riconosce più il Joker di cui si era innamorata e sta cercando di vivere la sua vita a Coney Island, tra la sua squadra di roller derby (esatto, proprio quello), il lavoro come psichiatra e il gruppo di supereroine fondato con Poison Ivy. Leggendo si ha un po’ la sensazione che nessuno abbia davvero inteso chi sia Harley Quinn, quando la si priva della sua devozione verso Joker. È un’antieroina picchiatella, una cattiva all’acqua di rose o un personaggio che vive soprattutto per essere materiale da cosplayer? Sarebbe un’analisi interessante da fare, ma Harley Quinn non sembra il luogo adatto, preferendo essere terreno per storie più rilassate.
The New Suicide Squad
La Suicide Squad di New 52 non ha brillato nelle vendite, meno ancora nel consenso critico. Harley Quinn, da sola, quella sì che macina bei numeri, ma il suo potere attrattivo scema quando è inserita nel gruppo di supercattivi. Per dare una scossa al franchise, la DC ha rilanciato la serie nel luglio 2014 con il titolo The New Suicide Squad.
Va detto subito: non un gran prodotto, ma qualcuno ci ha trovato del buono. Comics Alliance scrive che i testi di Sean Ryan sono «lievi come una martellata sulle rotule», che i disegni di Jeremy Roberts sono, alla meglio, liefeldiani, e che l’aggiunta di due cloni di Harley Quinn e Deadshot, rispettivamente la Figlia di Joker e Deathstroke, finiscono con l’affossare la testata. Ma proprio questo cattivo gusto sembra essere parte di un gioco meta-fumettistico con il lettore.
La narrazione del primo numero parla di quanto la Squad sia un concetto forte, descrivendo cosa e come dovrebbe essere, per poi concludere dicendo che «non si potrebbe incasinare un’idea del genere neanche provandoci», cosa che poi realizza nei fatti. Vic Sage (The Question), che sostituisce la Waller a capo del gruppo, afferma addirittura che la Figlia del Joker è lì solo per attirare il Joker, perché un’operazione del genere avrebbe proprio bisogno di Joker nei suoi ranghi. Come a dire: qualsiasi serie avrebbe bisogno di un po’ di Joker per vendere meglio.
Queste storie si possono trovare sullo spillato Suicide Squad/Harley Quinn pubblicato da Lion Comics.
Unici personaggi del film finora mai nominati sono Joker (c’è già una classifica tutta per lui) e Killer Croc, quest’ultimo mai stato membro della squadra – neanche Joker, ma almeno è apparso nelle loro storie. Se volete familiarizzare con Croc, una lettura consigliata potrebbe essere Requiem For a Killer, vista su Batman #471 (in Italia Batman di Norm Breyfogle n. 4), la storia migliore dedicata al personaggio, in cui lo sceneggiatore Alan Grant scava nella psiche del mostro e tenta di dargli sostanza. Le altre segnalazioni si distinguono più per il piacere estetico di vederlo combattere che per una qualche costruzione narrativa del personaggio. Si tratta di Batman: Hush di Jeph Loeb e Jim Lee (pubblicato in Italia in una miriade di formati), in cui compare pure una Harley Quinn attrice del Pagliacci di Leoncavallo, e Broken City di Brian Azzarello ed Eduardo Risso, anche questa vista in Italia molte volte (tra il magazine DC Universe, le collane Dark Side e Il Cavaliere Oscuro, e il volume omonimo Città spezzata). Entrambi archi narrativi della testata Batman, entrambi editi nel 2003, entrambi con un’idea estrema del cattivo – per Lee è un velociraptor ipertrofico, Risso lo fa tozzo e rettiliano.
Con il film in arrivo, una nuova serie Suicide Squad è pronta ai posti di blocco. Scritta da Rob Williams e disegnata da Jim Lee (con Philip Tan), la testata presenterà lo stesso team visto al cinema. Benché l’idea di Ostrander si sia persa tra le pagine, il potenziale per qualche bella storia della Squadra Suicidi è lì, in attesa di essere rinnovato.