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Mr. Jones, il tesoro nascosto del fumetto italiano

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Mr Jones non è un gatto.

Sembrerebbe una contraddizione in termini guardando le fattezze della creatura creata da Franco Matticchio. Il suo volto da gatto corsaro è un’icona che trasuda ricordi di un’epoca passata in cui animali antropomorfi indossavano volentieri bretelle e guanti bianchi da opera muovendosi al ritmo del ragtime.

Jones si diletta con gli strumenti a fiato, ma con scarsi risultati, è un dandy impenitente innamorato di camicie a fiori e pagliette rubate a Hucklberry Finn, è un gran passeggiatore, spesso si perde. Nonostante tutto quello che gli accade in sogno o nella vita di tutti i giorni, Jones non parla quasi mai. Le parole non servono, sarebbero imprecise e sicuramente spiazzate dal mondo caotico, sabbioso e ancipite, ritratto dal fine pennino di Franco Matticchio.

Sfoglia l’anteprima di Jones e altri sogni di Franco Matticchio

Matticchio Jones lizard

Apparso sulle pagine di Linus nel 1992, Mr. Jones è migrato di pagina in pagina, nascondendosi tra le pieghe della carta, fedele a un’idea: quella di un surrealismo sognante, in cui l’endofasie si fanno tratto – accumulo fisico – e scarto logico. Matticchio, in questo, è fedele più a un Lewis Carroll che ai funny animals delle Silly Symphony. Il suo Mr. Jones è parente prossimo di Felix the Cat – dalla paternità dubbia – quanto del gatto pazzo, invertito e sfortunato di George Herrimann. Di Carroll, Matticchio conserva il fascino dello specchio, del calembour linguistico, che qui si gioca su un sottile senso di familiarità e straniamento, dell’incontro quasi totemico e peyotico. Di Felix the Cat – che anch’egli gatto non è fino in fondo –la placida dedizione al silenzio, un’ascesi che è inconsapevole disciplina. Dall’immenso e insuperabile Herrimann – perché, mi dispiace dirlo, ma fare i conti con Krazy Kat è anche rassegnare un po’ l’impossibilità di andare al di là – i paesaggi virati e vergati tratto per tratto e immersi in una luce soffocante e al contempo ammantata di tepore tipica di quei sogni che sembrano voler diventare incubi ma che restano sulla soglia a rassicurare il (quasi probabile) malcapitato di turno che tutto in fin dei conti andrà bene.

Tutto si gioca sottilmente nelle atmosfere rese attraverso un tratto nervoso, anch’esso memore figlio: certo, Edward Gorey troneggia sullo sfondo, ma Matticchio non è certo epigono e amanuense, segue e persegue altre strade manifeste e carsiche: dagli uomini nudi e angelici – perché privi di genitali – di Abner Dean, ai cavernicoli socialmente evoluti di Frederick Burr Opper, passando per l’horror vacui di Jacovitti e arrivando all’amore quasi incondizionato per il Romano Scarpa del decennio d’oro.

Ma, tra le pieghe dei fogli, avanzano rimasugli e lacerti di cultura pop: allora, non è un caso che il gatto che non è un gatto si chiami Mr. Jones come il protagonista di The Ballad of a Thin Man di Bob Dylan. Canzone oscura, talmente ermetica – come si suole dire di testi di non facile presa – che lo stesso Robert Zimmerman rispondendo a una curiosità di Mogol disse di non averla capita. Ma la prima strofa sembra rivolgersi proprio allo stesso Matticchio:

You walk into the room
With your pencil in your hand
You see somebody naked
And you say, “Who is that man?”
You try so hard
But you don’t understand
Just what you’ll say
When you get home
Because something is happening here
But you don’t know what it is
Do you, Mister Jones?

O forse al suo alter ego Mr. Jones, che in preda ai propri sogni si trova trasportato e sbattacchiato di qua e di là come il piccolo Nemo, alla deriva in luoghi dove tutto è capovolto e si palesa il signor Ahi: la cui testa, fattasi occhio e sguardo, troneggia sul suo corpo esile, alludendo alle maschere dei The Residents. Ma non è un caso che, come il combo di San Francisco, anche i fumetti di Matticchio siano hidden gems, votati all’oscurità e all’oscurarsi per sfuggire qualsiasi divismo e celebrazione in vita: sostano dinanzi al lettore, evaporano, si estinguono e pure ritornano trasfigurati come sogni nella memoria, giocando con l’immaginario collettivo ma sfalsandolo e costringendo al vano sforzo erudito.

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Nei racconti brevi muti e provenienti dal secolo scorso, virati forzatamente a seppia, Matticchio ha come fine «quello di creare una mitologia da cartone animato e di metterla in scena secondo i codici della morality play medievale». Le stesse illustrazioni, che impreziosiscono il generoso volume edito da Rizzoli Lizard e curato da Pasquale Laforgia, sono un saggio interessante della capacità dell’autore di smarcarsi da ogni indebito paragone, generando mondi di senso sfuggenti e disturbanti: nella loro cartoonesca e apparente innocenza colpiscono come un destro in pieno volto. L’ironia e il sarcasmo fustigatore si confondono con un humor nero e bituminoso, provocando a volte un groppo alla gola.

Il tesoro nascosto del fumetto italiano è stato esposto, ma non prevedo uno sbracciarsi smodato della folla del lettori per l’opera di Matticchio: e forse è un bene che sia così, che Mr. Jones continui a perdersi nei suoi sogni lontano dai clamori della folla.

Jones e altri sogni
di Franco Matticchio

Rizzoli Lizard, 2016
256 pagine in bianco e nero e a colori, € 25

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