Viaggio a Tokyo, il primo graphic novel di Vincenzo Filosa, è stato uno dei migliori libri a fumetti pubblicati in Italia nel 2015 (ed è un giudizio che ha trovato la redazione particolarmente concorde). È un libro che esplora il tema del vivere in un paese lontano al proprio – in questo caso il Giappone – ma è il racconto di un viaggio nell’io di un uomo alla ricerca di sé, oltre che un’esplorazione della passione per il manga.
Filosa racconta se stesso in Viaggio a Tokyo, mette a nudo un’esperienza (per forza di cosa anche romanzata) e mette a nudo la sua passione per il manga classico e sperimentale (il Gekiga degli anni Cinquanta e Sessanta). Il suo libro è opera di ricerca su più fronti, che merita di essere esplorato. Ne abbiamo parlato con lui.
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Come nasce l’idea (e l’urgenza, apparentemente) di raccontare e raccontarsi in questo libro?
Non ho molta fantasia. Faccio fatica a inventare mondi, situazioni, personaggi che siano frutto di pura invenzione. E anche se ne fossi capace, non credo ci sia davvero bisogno dell’ennesima storia inventata in un mercato che ne produce in abbondanza. Sono invece molto interessato a mettere sul piatto quella che è la mia esperienza personale nella maniera più diretta e sincera possibile in modo da creare un rapporto più profondo con chi legge.
Il libro ha avuto una lunga gestazione, come mai?
Lavoro senza storyboard su un canovaccio molto vago (in sostanza i miei ricordi). Tendo a ricostruire la storia lasciandomi trasportare da sensazioni e intuizioni del momento. Quando queste intuizioni mi portano su una strada sbagliata, l’unica cosa da fare è ricominciare da capo cercando di rincorrere gli errori. Ti assicuro che costruire un libro di 260 pagine seguendo questo metodo non è proprio semplicissimo, tanto meno per un autore alla sua prima esperienza con un racconto così lungo. Viaggio a Tokyo era nato sotto forma di racconti brevi, frammenti di diario e strisce umoristiche che parodiavano alcuni aspetti della società Giapponese. Poi si è trasformato in un racconto di viaggio, in parte ispirato ai fumetti di Delisle e Sacco. Tutte soluzioni che non soddisfacevano le mie aspettative. Le risposte che cercavo le ho trovate nei racconti dei grandi autori giapponesi che ho sempre ammirato. Tezuka, Tatsumi, Shigeru Mizuki e Tsuge Tadao: sono stati loro a insegnarmi a essere sempre onesto con me stesso e con il mio lavoro, sono stati loro a spingermi a mettere tutto me stesso nelle pagine di questo libro e di quelli che verranno.
Quanto c’è di biografico in questo libro?
Il libro ripercorre fedelmente la mia esperienza di vita in Giappone e in Italia tra il 2006 e il 2007, con una piccola eccezione che consiste in un piccolo salto temporale non dichiarato.
Quando è avvenuta la tua scoperta del gekiga?
Nel 2004, grazie a Coconino press. Avevo appena fatto l’abbonamento a tutte le loro uscite, quella che chiamavano “offerta sinfonica”. Ricordo ancora benissimo il momento in cui aprii il loro primo pacchetto: era Lampi di Yoshihiro Tatsumi. Lampi raccoglie parte dei racconti che costituiscono la vera bibbia del gekiga ed è a prescindere un volume che tutti gli amanti del fumetto dovrebbero leggere.
Cosa ti ha insegnato il gekiga che hai trovato del tutto nuovo rispetto al fumetto occidentale?
A raccontare la storia attraverso la sequenza. Dopo anni di fumetti fatti “con le chiacchiere”, è stata una rivelazione fondamentale. Questo approccio in parte freddo permette in realtà un livello di interazione con il lettore molto intimo e profondo e nell’ottica di un fumetto inteso come scambio di esperienze si rivela uno strumento fondamentale per raggiungere il mio obiettivo come autore, che è quello di condividere esperienze e imparare attraverso quelle degli altri, siano essi lettori, addetti di settore e autori.
Viaggio a Tokyo è anche il titolo di un film di Yasujiro Ozu. Perché questa citazione?
Questo splendido titolo nasce da un’idea di Edo Chieregato e Liliana Cupido. La citazione a mio avviso non esiste perché il titolo originale del film di Ozu è Tokyo monogatari e Viaggio a Tokyo non ne è la traduzione letterale.
Per certi versi trovo Ozu piuttosto vicino a Yoshihiro Tatsumi e alla sua visione del gekiga. Da quali altri opere ti senti ispirato?
Hai ragione, credo anche io che sia così. Tra i registi giapponesi che mi hanno ispirato ci sono Koji Wakamatsu, Teruo Ishii e lo Shohei Imamura di Fukushu suruwa ware ni ari,un film che consiglio a tutti. In letteratura il mio faro assoluto è Cesare Pavese, ma tra i giapponesi Il giardino delle peonie di Nagai Kafu è stato un testo fondamentale per me nella ricerca delle giuste atmosfere per il libro. Kenzaburō Oe è uno scrittore enorme, un’ispirazione costante nella mia vita. Il suo Un’esperienza personale è un pugno nello stomaco, tradotto divinamente dalla grande Maria Teresa Orsi. Tra i fumetti non giapponesi, sicuramente La vita non è male malgrado tutto di Seth, tutta la produzione di Michelangelo Setola e Andrea Bruno, Il signore dei colori di Roberto La Forgia, e Il ladro di libri di Alessandro Tota. Sbavando sulle tavole de L’estate scorsa di Paolo Cattaneo ho capito che devo sempre dare il massimo. Ogni tavola di Paolo Bacilieri è una dichiarazione d’amore al fumetto e una spinta a dare sempre il massimo, fino all’estremo!
Ci sono molte citazioni sia palesi nel testo, che visive. Puoi sceglierne un paio e spiegarle?
L’occhio gigante che insegue il protagonista nella foresta dei suicidi è il signore degli yokai occidentali, un personaggio creato da Shigeru Mizuki ma utilizzato e rielaborato in moltissimi fumetti contemporanei e persino nei videogiochi, cito velocemente Castlevania che lo usa in almeno tre capitoli della serie. Tra le citazioni di testo, sfido i lettori a trovare un passaggio ispirato al verso di una canzone dei giganteschi Polvo.
Hai mai avuto il dubbio che il citazionismo potesse essere anche limitante in qualche modo?
Non saprei, non ci ho mai veramente pensato. Trascorro ogni secondo della mia giornata sui libri e se il mio obiettivo è rappresentare e raccontare le mie esperienze personali è inevitabile che compaiano riferimenti ai testi che leggo. Nella mia mente parlo spesso con Tsuge Tadao, almeno tre volte al giorno: non posso non citarlo quando racconto la mia vita.
In cosa consideri il tuo stile occidentale e in cosa giapponese?
Occidentale in tutte le derive autolesioniste e sfaticate: ho prodotto poco, in parte perché non credo che sia necessario fare un libro all’anno e in parte perché sono pigro. Giapponese, almeno spero, nella sincerità con cui racconto la mia esperienza nelle mie storie.
Il tuo protagonista appare come un individuo molto malinconico e solitario. Parlando di fumetto, ti ritieni particolarmente nostalgico dei tempi andati?
Non mi ritengo nostalgico, anche se le mie preferenze coincidono spesso con opere meno recenti. Di sicuro, Nell’ambito delle produzioni più commerciali, per esempio, non trovo ci siano autori all’altezza di leggende del passato come Osamu Tezuka in Giappone o Jack Kirby e Jim Steranko negli Stati Uniti. L’immortale di Samura non è certo Kamui den di Sampei Shirato, non è neanche Buried histories of the true samurai di Hiroshi Hirata. Il fumetto d’autore mantiene livelli qualitativi altissimi grazie ad autori del calibro di Bacilieri, Toffolo e Igort in Italia e all’estero con Hanselmann, Kessler, Jesse Jacobs e tanti altri. Infine credo che sia un periodo d’oro per la scena “alternativa”, sia italiana che internazionale: In Europa, grazie a eventi e festival come Crack, Tenderete, Safari, Ca.Co fest, gli autori e i vari gruppi hanno a disposizione una vera e propria rete, un circuito che permette loro di confrontarsi e fare circolare idee e pubblicazioni e che ha potenzialità enormi.
Il tuo libro non racconta solo un viaggio in Giappone ma anche un viaggio nell’io di un ventenne, è così?
Sì, possiamo definirlo il viaggio di un giovane confuso alla ricerca di un’identità… Per me è stata una lunga, estenuante ma catartica seduta dallo psicanalista. Per me è stato lo strumento per capire meglio il mio mondo e le mie azioni all’interno di esso. Le mie storie saranno sempre così, non riesco a evitarlo. È un’urgenza che non riesco a controllare.
Viaggio a Tokyo è libro che avevi in cantiere da molto, stai già lavorando a qualcosa di nuovo?
Sto lavorando a una storia di 20 pagine per la mitica rivista Kus. Erano anni che aspettavo questo momento! È come partecipare a quelle partite tra squadre composte dai migliori atleti di un campionato… Spero di essere all’altezza! Poi una storia di 40 pagine per un super progetto non ancora annunciato, e infine il primo libro di una trilogia che racconterà tre generazioni della mia famiglia. Per me è arrivato il momento di portare il Giappone alternativo in Calabria. Me l’ha detto anche l’analista: Non posso più scappare.