In Italia vennero pubblicati da Fabbri in tre volumi, tra il 1979 e il 1980. In realtà i volumi originali erano quattro, ma la nostra editoria prese un’altra direzione. Si trattava di Navi spaziali dal 2000 al 2010, Grandi guerre spaziali e Catastrofi spaziali (manca Starliners: Commercial Travel in 2200 AD). Sono tre raccolte unite da una trama comune, il rapporto dell’Ente Terrestre Comunicazioni (la “Terran Trade Authority”) che racconta cosa succede nel mondo del futuro, tra voli spaziali, misteri, disastri, battaglie, turismo cosmico e incontro con altre razze nell’universo.
L’idea non è nuova ma sfiora il geniale nella sua declinazione: l’ha avuta Stewart Cowley, che ha pensato di “legare” assieme delle illustrazioni classiche di fantascienza di notevole livello creando un filo sottile, a volte impalpabile, ma sempre piacevole, di senso. In due libri ci sono racconti, ma soprattutto il vero filo distintivo di questa serie sono le schede delle navi, i grandi incidenti, le loro missioni. Un punto di vista “enciclopedico” che, nel raccontare le storie dei singoli mezzi, lentamente disvela il racconto sotterraneo di un universo. Ci sono anche schede tecniche, diagrammi, spiegazioni (il generatore di curvatura DeVass) che arricchiscono il racconto. E il chiaroscuro dei due grandi eventi che definiscono l’umanità del futuro: l’incontro con i benevoli extraterrestri di Alpha Centauri e quello con gli odiati abitanti di Proxima Centauri, con i quali – in caso non lo sapeste – combattemmo una cruenta guerra (la Guerra di Proxima) senza esclusione di colpi.
Soprattutto, però, ci sono loro. Le gigantesche illustrazioni, quadri ad olio o realizzati con tecnica mista, che coprono ciascuno almeno una pagina dei vari libri. Grandi illustrazioni colorate che sono spesso ristampe di ampio respiro delle illustrazioni originali che hanno fatto da base per le copertine di libri di fantascienza (cioè non sono tavole commissionate ad hoc), e che non sono “in sincrono” perché cambiano le ambientazioni e gli stili degli illustratori. Ma questi dipinti fantastici creano la base sulla quale gioca il testo di Cowley, che in una specie di esercizio di arte combinatoria si muove su due piani: da una parte crea le premesse di un universo coerente (ci sarà anche il gioco da tavolo, portato avanti dal 2006) e dall’altra però interpreta anche alcune delle illustrazioni che può usare, creandoci attorno una storia adeguata alle premesse. Insomma, le illustrazioni non solo sono molto belle, ma sono contemporaneamente il punto di arrivo e anche quello di partenza nella creazione del testo e della storia, che si plasma e si adatta alle peculiarità di alcune di queste immagini.
Gli illustratori sono la meraviglia. Non sono citati esplicitamente se non nei credits, non sono loro le star esplicite dei volumi, ma sono il sogno che rende possibile la storia: Jim Burns, Alan Daniels, Peter Elson, Fred Gambino, Colin Hay, Robin Hiddon, Bob Layzell, Angus McKie, Chris Foss, Chris Moore, Tony Roberts, Trevor Webb e qualche altro che adesso mi sfugge. Tutti, praticamente tutti quelli che costituiscono il movimento “classico-moderno” dell’illustrazione di fantascienza in lingua inglese e, per conseguenza, occidentale. Non voglio parlare di nessuno in particolare, se non dire che questa è stata, all’epoca, una delle poche se non l’unica “lettura giusta” per i giovane che si accostasse all’universo visivo della fantascienza.
Quando ho iniziato a sfogliare i volumi di Twelve Tomorrows (di cui ho parlato in due precedenti puntate di questa rubrica, qui e qui), ho in realtà solo grattato la superficie di una storia dell’illustrazione dei romanzi di fantascienza americani, e soprattutto delle loro copertine, che è enorme, articolata, richiede passione e dedizione e può dare enormi soddisfazioni. C’è un’unica trilogia (se volete cercare quella italiana) o tetralogia (se cercate invece quella Made in Usa o Made in UK) che renda giustizia a questo mondo. Ed è per l’appunto il ciclo della Terran Trade Authority (TTA).
Io la giudico fondamentale, ma voglio entrare un po’ più nel dettaglio autobiografico per far capire meglio dove finisce secondo me la dimensione personale e dove inizia l’altra, quella più universale.
Ho ricevuto in regalo due dei tre volumi (il terzo e ultimo sono riuscito a comprarlo su eBay solo molti anni dopo) quando avevo poco più di dieci anni, all’epoca della loro pubblicazione. Furono il regalo di due compleanni, forse tra i più felici e prolifici della mia vita, visto che, assieme a un romanzo di Andre Norton, la Grande Signora della fantascienza (di cui ho parlato qui) costituiscono il fondamento del mio immaginario fantascientifico. Un immaginario che con la TTA diventa non solo testuale ma anche visivo. L’operazione di Cowley di sposare, esaltare e dare senso e contesto all’immagine, lasciando che ciascun quadro degli artisti-illustratori germogli come un seme e fiorisca in una pianta di idee e suggestioni, è stata magistrale.
Questo sia per chi aveva l’età di un ragazzino che stava scoprendo la fantascienza, sia per chi invece si avvicini come critico più adulto a questo mondo e voglia vederne cartografato un punto di contatto singolare e molto significativo. L’illustrazione qui genera chiavi ulteriori di lettura per l’immaginazione ma riesce anche ad esaurirle, rappresentando il sogno evocato dalle parole. L’esercizio, controllato e straordinariamente fortunato di scrittura creativa di Cowley, riesce così nell’impresa di tenere tutto assieme e la sua scelta di cercare di mettere assieme i migliori illustratori anglo-americani degli anni Quaranta, Cinquanta, Sessanta e soprattutto Settanta crea anche quell’abbondanza e quella diversità di tratti e di segni che producono un universo coerente e credibile proprio perché ricco, articolato, sfaccettato.
Anche altri hanno cercato di utilizzare un approccio simile: il film Alien, ad esempio, si appoggia a tre illustratori differenti (anche se di solito viene ricordato solo lo svizzero Giger per la creazione della “materia” dell’alieno) proprio perché gli immaginari differenti tra loro potessero dare l’idea di ricchezza che solo la pluralità di menti e di sguardi diversi è in grado di generare. Stesso trattamento per molti altri film in cui c’è da far vedere tanta “scienza”, dal Quinto Elemento fino ad Avatar. Però nessuno riesce nell’operazione di creare un numero di sfaccettature tanto elevato quanto quello di Cowley e la sua TTA.
Dello scrittore Cowley in realtà non c’è molto altro da dire. Ha lavorato a una serie di spin-off della serie TTA (i sei volumi dei “Galactic Encounters”, che non sono ritenuti però parte del canone e che sono basati fondamentalmente su illustrazioni scartate per i quattro volumi principali), è autore di una rivisitazione dell’intero ciclo iniziata a cavallo tra il 2004 e il 2006, fatta in sostanza perché è rientrato in possesso dei diritti dell’opera. La scelta controversa, però, è stata quella di effettuare dei cambiamenti nella trama (e illustrazioni diverse, rifatte in computer grafica molto meno suggestive) che non sono state apprezzata dagli appassionati. Non c’era più il potere evocativo della storia e delle immagini, un tempo sospese in un equilibrio miracoloso. Cowley poi ha lavorato anche per altri libri per ragazzi e per l’infanzia, senza particolare successo.
Sono cosciente del fatto che, una volta che si è realizzato un ottimo prodotto, destinato a passare in un modo o nell’altro alla storia in questo caso della fantascienza, si desidera andare avanti lo stesso e fare anche altro. Ma è pure vero che, a fronte di autori di prestigio e prolifici, ci sono anche gli autori che hanno “dentro” un solo libro (o una sola tetralogia, in questo caso) e che oltre non riescono ad andare oltre. Un peccato che però non è poi così grave se pensiamo all’opportunità di avere, raccolta in un’unica serie, questa antologia di immaginari così ricca, articolata, dettagliata, affascinante. Peccato per Cowley, che non è mai riuscito a ripetersi, ma fortunati noi e lui che almeno una volta, con la trilogia-quadrilogia della TTA ha saputo creare un universo sfaccettato e vibrante di luci e colori.
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*Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Ha un blog dal 2002: Il posto di Antonio.