Può sembrare strano veder dedicato questo quinto volume monografico di una collana dedicata ai migliori autori Disney italiani a Enrico Faccini. Casty, Faraci, Artibani e Marconi – le quattro firme che lo hanno preceduto – sembrano infatti avere, per via della loro storia professionale, un peso molto maggiore nell’economia delle testate che ospitano Paperi e Topi. Marconi, ad esempio, porta con sé quella solidità e quella autorevolezza che la sua lunga esperienza gli garantiscono; Faraci e Artibani sono due delle colonne portanti del rinnovamento disneyano italiano degli ultimi vent’anni; mentre Casty, pur avviando relativamente tardi la sua esperienza con Topolino, si è ben presto conquistato un importante consenso, riunendo intorno a sé un pubblico particolarmente affezionato, che apprezza la sua capacità di porsi in continuità con i grandi maestri del passato.
Faccini, che pure può essere considerato – con l’eccezione di Marconi – un ‘decano’ in questo gruppo di autori (esordì su Topolino nel 1989 con Qui, Quo, Qua e il rock rimbombéros), si presenta certo come una firma più sfuggente, artisticamente anomalo e caratterizzato da una cifra surreale la quale, pur avendo alcuni precedenti in casa Disney – si pensi soprattutto a Luciano Bottaro e a Jerry Siegel – raramente è stata declinata al nonsense come accade in molte storie, specialmente brevi, di questo autore. Ma c’è di più. Rispetto a Casty, di cui è amico e di frequente collaboratore – ed è proprio Castellan a scrivere l’Introduzione a questo volume – Faccini, ad un’analisi superficiale, sembra anche un interprete meno filologicamente allineato a quello spirito Disney che, pur subendo i necessari aggiornamenti e correzioni di tiro, continua a rimanere, nella sua impalpabile indefinibilità, l’ossatura del successo delle storie con protagonisti Paperi e Topi.
Eppure, sorprendentemente, le frequenti collaborazioni di Faccini con Casty spesso rappresentano le punte più alte della produzione di entrambi. Non solo perché il primo è un interprete grafico straordinario delle sceneggiature del secondo, tanto che spesso si fatica a capire che all’opera ci siano due penne invece che una (come in Topolino e la Jellamolecola o Topolino e il club degli spettri) ma soprattutto perché quando i due autori si trovano a collaborare fin dalla fase della sceneggiatura (Topolino e il Dottor Tick-Tock, Topolino e il teatrino di Bambolier) sono capaci di produrre alcune delle migliori avventure che Topolino abbia presentato negli ultimi anni, coniugando in maniera sorprendente rigore, bizzarrie e coerenza filologica. Tutti elementi messi al servizio del segno (quasi sempre) di Faccini il quale, all’opera di storie più complesse e articolate come molte di quelle citate fin qui, mette la sordina agli elementi che meglio lo caratterizzano – il nonsense, appunto, la comicità slapstick, la recitazione caricaturale, una composizione della vignetta sofisticata e minimale, un uso rarefatto degli sfondi ecc.- dimostrandosi un autore dalle molte sfumature, complesso e, soprattutto, completo. Il punto più alto della collaborazione fra Casty e Faccini è sicuramente rappresentato dalla giustamente celebrata Topolino e i 7 Boglins (ne abbiamo parlato QUI). Ma Faccini, ben prima, si era messo in evidenza per altri, ugualmente interessanti, lavori.
Enrico Faccini è infatti un autore poliedrico, capace di maneggiare diversi tipi di storie infondendo ogni volta il proprio tocco. Ovvero una vena che è allo tempo stesso stralunata, surreale e, senza che ciò risulti in contrasto con quanto detto in precedenza, profondamente inquietante. Questa particolare “inquietudine facciniana”, che si origina in quello che inizialmente sembra un piccolo scarto fra il mondo così come appare e il mondo così come si rivela essere – al netto dell’immancabile colpo di scena finale, che per quanto riguarda questo autore non è mai scontato – è rintracciabile sia nelle strisce di ispirazione slapstick di impianto umoristico che nelle storie più lunghe. Si pensi, in particolare, a Topolino e la vecchia “Topington”, ristampata in Fluo Edition, dove la vicenda ruota intorno ad una macchina da scrivere capace di scrivere da sola; oppure alla più recente Topolino e il mistero di Borgospettro, che presenta alcune delle pagine più spaventose – non solo per gli standard disneyani – delle storie a fumetti indirizzate ai lettori di questa fascia d’età.
Fino ad ora si è parlato esclusivamente di Topi. E’ però la caratterizzazione che Faccini ha fatto dei paperi, specialmente nelle storie brevi, ad aver portato alla ribalta l’autore. E’ in queste storie di poche pagine, se non addirittura di una tavola, che Faccini riesce ad esprimersi completamente e senza freni. Questa Fluo Edition ne presenta una ricca e ben selezionata scelta, con una giusta preferenza accordata alle storie mute. Anche se spesso il referente dell’autore è rintracciabile nei corti animati disneyani della prima metà del secolo scorso, risulta sorprendente come alcune soluzioni particolarmente astratte che il fumetto aveva da tempo abbandonato (getti d’acqua che perseguitano Paperino, o piccole cabine da spiaggia che contengono più ospiti di quanto le loro dimensioni lascerebbero supporre) risultino, nelle sue mani, fresche e moderne, senza che sia utilizzato il minimo appiglio nostalgico allo scopo di renderle maggiormente appetibili.
Le storie brevi di Faccini si distinguono per molte fertili ambiguità. Sembrano ambientate in un passato (fumettistico, cinematografico) senza tempo, ma contemporaneamente sono freschissime, grazie anche all’uso ritmico della gabbia, nella migliore tradizione delle strisce comiche, e a un segno che deve molto al design e alla grafica pubblicitaria. Oppure si presentano come degli ‘UFO’ nel panorama della produzione disney italiana, ma al contempo sono particolarmente coerenti nello sfruttare le caratteristiche salienti dei personaggi scelti (Paperoga in particolare).
A ben vedere, lo stesso può dirsi di tutta la produzione di Faccini. Inizialmente si guarda alle sue tavole un po’ di traverso, come se la sua cifra autoriale, pur ottima, volesse soverchiare i personaggi che si trova a far recitare. Dopo un po’ di tempo ci si rende conto che quegli stessi personaggi, che inizialmente sembravano calati in vestiti troppo strani per loro, si trovano benissimo in quei panni e sono loro, davvero, a condurre il gioco, non solo riuscendo ad offrire alcune delle loro migliori performance, ma aggiungendo al loro arco espressivo nuove cifre, nuovi colori, che non contrastano con quelli che già conoscevamo. L’equilibrio attraverso cui Faccini riesce a raggiungere questo risultato, che si muove su un filo da equilibrista sospeso da una parte dalla sterile adesione alla tradizione e dall’altra a un’eccessiva libertà, è sorprendente.
Per concludere, vale la pena passare in rassegna più nel dettaglio anche altre storie presentate in questo volume.
Partiamo da Paperino e il trattamento definitivo, una – piacevolmente – crudele storia di vendetta e pentimento. Paperino, continuamente vessato dalla fortuna del cugino Gastone, decide di ingaggiare dei sicari per eliminarlo. Nonostante si penta quasi subito del gesto scellerato, il sadismo che riaffiora anche solo per un attimo nello sguardo del protagonista ci riporta a una caratterizzazione del papero che non siamo – e non eravamo – più abituati ad incontrare. La running gag dell’inesorabile, impossibile da fermare e che travolge tutto e tutti per raggiungere quello che si suppone sia il suo obiettivo, offre l’occasione all’autore per esibirsi in almeno un paio di pezzi di bravura, il più stralunato dei quali, almeno per gli standard disneyani, si può vedere a pag. 21 del volume. Il finale, che ribalta completamente le premesse iniziali senza praticamente aver fornito indizi in precedenza al lettore, è reso possibile dall’inserimento nella trama dall’imprevedibile Paperoga, uno dei personaggi più affini alla narrazione facciniana e infatti da lui spesso sfruttato.
Paperino, Paperoga e gli ultimi Bubalù incrocia invece una serie di omaggi. Gli animali citati del titolo, i Bubalù, rimandano infatti al balabù scarpiano. La contessa Glippglopp e il suo maggiordomo Otto sono la versione disneyana di Gloria Swanson e Erich von Stroheim in Viale del tramonto. Quello che però preme sottolineare rispetto a questa storia è come renda particolarmente evidente la capacità di Faccini di costruire il ritmo comico servendosi di gag quasi esclusivamente visive, capacità che porterà alle massime vette nelle sue storie mute.
Un altro omaggio molto evidente è quello che porge Paperoga e la gara d’equitazione alla gottfredsoniana Topolino e lo struzzo Oscar, rispetto a cui la storia di Faccini si configura come un vero e proprio remake, grazie anche al recupero del villain imbroglione e traffichino Tony Dinero.
Fra le storie lunghe, sono però quelle con protagonisti i Topi ad essere fra le migliori creazioni di Faccini. Si è già accennato all’inquietante Topolino e la vecchia Topington, ma non da meno sono la surreale Topolino e la notte a Val Dormigliona e, soprattutto, l’ottima Topolino e il dottor Tick-Tock, disegnata da Casty.
Insomma, quelle presentate in questo volume sono storie dalla qualità media molto alta, anche se non necessariamente rappresentative della migliore produzione facciniana. Alcuni dei suoi più interessanti lavori recenti sono infatti rimasti tagliati fuori (Topolino e il mistero di Borgospettro, Topolino e i 7 Boglins). Naturalmente, non si può avere tutto; e non è da escludere che possano riemergere in future riedizioni – in fondo, lo meriterebbero. Ma Fluo Edition riesce ad ogni modo ad assolvere al proprio compito, e cioè offrire una panoramica piuttosto completa sul lavoro di un autore di talento, complesso, persino un po’ sfuggente. E sarebbe un peccato perderselo.
Topolino Fluo Edition
di Enrico Faccini
Panini Comics, 2015
368 pag., 7,90 €