HomeNewsManuele Fior racconta "L'Intervista", in mostra a Bilbolbul 2014

Manuele Fior racconta “L’Intervista”, in mostra a Bilbolbul 2014

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In occasione di BilBOlBul, Festival Internazionale del Fumetto di Bologna (dal 20 al 23 novembre), presso il MAMbo si terrà una mostra dedicata a Manuele Fior e incentrata sul suo ultimo libro, L’intervista (Coconino Press, 2013). L’esposizione verrà inaugurata il 20 novembre alle ore 18.30 e sarà visitabile sino all’11 gennaio 2015.

intervista

L’esposizione ricostruirà la lavorazione del fumetto con una particolare attenzione per le ispirazioni a cui Fior ha guardato: le citazioni cinematografiche, fotografiche, architettoniche, letterarie e fumettistiche. Contemporaneamente, saranno esposti gli originali dell’opera, in modo che lo spettatore possa farsi un’idea dei passaggi metodologici e di natura tecnica che hanno portato dalla prima idea alla successione di tavole finite, ricostruendo il metodo di lavoro dell’artista, osservando gli appunti a bordo tavola e confrontando i materiali di lavorazione scartati con il risultato finale.

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Uno scatto dall’allestimento in corso della mostra.

Di seguito, in anteprima, proponiamo una serie di estratti da un intervista a Fior condotta da Elena Orlandi, Emilio Varrà, Lorenzo Ghetti e Giordana Piccinini, realizzata per accompagnare i visitatori lungo il percorso della mostra. Durante il festival sarà possibile acquistare il testo completo, stampato in formato quaderno.

Sulle motivazioni di fare un fumetto di genere fantascientifico:

«Avevo voglia di occuparmi della fantascienza un po’ perché il fantastico è il genere di fumetto da cui vengo, da cui anche ho davvero pensato di fare questo mestiere. I fumetti di supereroi, le saghe degli X-Men, ma anche Little Nemo. In fondo il fumetto è un linguaggio privilegiato per il fantastico. Per cui era abbastanza chiara questa cosa: fare qualcosa che fosse un’opera più possibile di fantasia. Avevo voglia di usare personaggi il più lontano da me, dal mio lavoro, dalla mia età, dalla mia condizione sociale. Ho deciso che avrei raccontato di  un contatto, volevo che ci fosse questo momento in cui si guarda qualcosa, nel cielo, che non si capisce che cos’è.»

Perché ha scelto Udine come ambientazione:

«La seconda decisione è stata di fare la storia a Udine, perché avrebbe tolto tutta una serie di cliché in cui rischiavo di cascare. Udine è la provincia italiana che conosco molto bene, dove  non succede mai niente. Questo mi permetteva di collegare due scale: l’incommensurabile e il familiare.  È la cifra che ho voluto tenere in tutto il libro. Non è un’invenzione mia, è una cosa che ho ripreso da Spielberg, la capacità di mettere queste due cose insieme. Il suo Incontri ravvicinati del terzo tipo mi ha molto sostenuto, perché lì si fa il grande passo di usare la luce invece della materia, per raccontare il contatto alieno. Da queste luci devi intuire la forma che c’è dietro. È un grande passo avanti nell’immaginario, rispetto ai dischi volanti tradizionali.»

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Il personaggio di Dora e il ruolo delle donne nei suoi lavori:

«Il volto di Dora è copiato da un personaggio di Matsumoto. È  uno stile che ho dentro di me da quando sono piccolissimo, ho visto tutti quei cartoni animati… Mi piaceva giocare con il fatto che a volte è proprio una ragazzina naif, con tutte le esagerazioni di una ragazzina di neanche vent’anni. Però, come dice anche Rossella, è una persona speciale, bisogna fare attenzione. Ha ruolo di tramite, di figura di soglia. Nei miei libri la donna ha sempre questo ruolo, di scatenare gli eventi. Anche in Cinquemila chilometri al secondo, che è una storia realistica, Lucia è quella che prende le decisioni, quella che parte, quella che non si guarda indietro. Gli altri due personaggi ruotano attorno a lei.»

La narrazione, tra spazio e ambiente: 

«Non muovo mai i personaggi a caso nello spazio. Quando hai una location, che sia paesaggio o altro, ben definito in testa, metà della narrazione, di tutto, è già fatto. Pensa alla casa di Psycho. Se c’è un passaggio a livello nei campi, per me non è mai un passaggio a livello qualsiasi. Cerco di possedere il più possibile un luogo, perché sia l’atmosfera che lo avvolge sia l’azione che vi si svolge dentro sono determinate molte volte da quanto mi sono documentato e ho studiato quel posto. Per dire, l’idea del furto in casa di Raniero viene fuori prima dalla casa che dal furto in sé. Mi sembrava particolarmente terrificante che un furto avvenisse in una casa di quel tipo lì. Poi non è che devo essere per forza filologicamente esatto, posso cambiare delle cose, ma devo avere una cornice di riferimento solidissima, con piante, sezioni, immagini degli interni.»

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Il futuro come chiave per raccontare:

«Per me il futuro è la possibilità di usare la fantasia. Prendi il finale, che è vera e propria fantascienza. C’è un passaggio in cui Dora dice: “Sapete, conoscere a fondo una persona, senza poter leggerle nel pensiero era molto difficile. Diciamo pure che ci si impiegava una vita. Ed era a volte molto doloroso.” Qui sta parlando di noi, no? Di come ci conosciamo adesso. Ma lei sta parlando ad una platea in cui ognuno legge l’altro, che crede probabilmente che non siamo unici, anzi facciamo le cose come una mente unica, come una colonia. Una mente alveare. Ovviamente pensare all’umanità in questo modo fa paura, però chissà, se può evitare che ci massacriamo gli uni con gli altri, è così brutto?»

La visione positiva di quello che sarà: 

«Quando si pensa al futuro oggi non si riesce a evitare l’idea di rovina, di giorno del giudizio. Il progresso non esiste più. Pensando all’Italia e alla mia idea di futuro ho cercato di pormi l’imperativo di scartare questa via. Chiaramente è rischiosissimo prendere una via positiva. Ma mi piace pensare che il futuro è esattamente come il presente, una complessità di cose che si sono risolte e di nuove sfide. Non la fine di qualcosa, ma una tappa come le altre. Per me questa è l’idea positiva del futuro.»

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Il fumetto come mezzo per raccontare il fantastico:

«Per quelle che sono le mie origini, il fantastico è il DNA del fumetto. Per me il fumetto nasce dalla semplicità di rappresentare l’irreale, l’irrealizzabile, e conserva sempre quella facilità di fare una salto nell’impossibile. Giustamente abbiamo imparato che il fumetto può parlare anche di cose diverse, banali o drammatiche, reali e autobiografiche, ma credo che ora siano maturi i tempi per tornare all’invenzione fumettistica pura, alle storie fantastiche. Dove i personaggi possono da un momento all’altro mettersi a volare.»

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