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Il Caravaggio bonelliano, e l’omosessualità (invisibile) nel fumetto popolare

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di Wally Rainbow*

Prima la notizia. Uccidete Caravaggio!, il recente volume speciale della collana ‘Le Storie’ di Bonelli Editore, di speciale ha soprattutto una assenza: la (nota) omosessualità del pittore.

Leggi l’anteprima di Uccidete Caravaggio!

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Prima di arrivare all’albo in questione, però, torno su quanto accaduto nei giorni scorsi, e che mi ha portato a scrivere del Caravaggio bonelliano. Sulla mia pagina Facebook si era arrivati a discutere dei motivi per cui gli editori italiani di fumetti popolari si fanno problemi a trattare vari argomenti (tra cui l’omosessualità). Se per paura, autocensura, bigottismo o mancanza di libertà di stampa in Italia, andrebbe indagato meglio. Ma nel frattempo, il sempre vigile Massimo Basili (che scrive per Pride e per Fumo di China) aveva citato il caso di Gianfranco Manfredi, a cui Bonelli in persona “sconsigliò vivamente” di inserire nella serie Magico Vento personaggi omosessuali realmente esistiti, come Oscar Wilde ed Emily Dickinson.

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Fatto sta che, essendo amico di Basili su Facebook, Gianfranco Manfredi ha intercettato il suo commento e ha voluto dire la sua su tutta la questione, anche perché è uno sceneggiatore a tutto tondo e non si occupa solo di fumetti (oltre ad avere all’attivo diversi romanzi, ha scritto per la tv, il cinema e il teatro). Le sue parole:

E’ sicuramente vero che c’è un problema di libertà di stampa e di eccessiva prudenza editoriale, però c’è anche un problema di sensibilità e di maturità del pubblico. Non vale solo per le serie a fumetti, anche per quelle televisive. Se metti un macellaio assassino in un giallo per la TV, l’associazione italiana macellai protesta. Se metti un carabiniere corrotto, vai nelle rogne. In una serie Tv che scrissi negli anni 80/90 c’era un broker ai limiti della legalità. La Borsa ci negò l’autorizzazione a girare nei locali. Ho scritto un film sulla storia di un parlamentare “trasformista”. Casini, al tempo presidente della Camera, ci negò l’autorizzazione a girare a Montecitorio.

In Italia manca il senso dello spettacolo che c’è in America. Si offendono tutte le categorie. E anche i singoli. Se parli di un personaggio storico, i discendenti, anche lontani, possono accusarti di averlo messo in cattiva luce. Non si può lavorare serenamente stando sempre in mezzo alle cause. Può parere strano, ma è molto più facile ottenere autorizzazioni dalla Chiesa. L’autocensura è davvero l’ultimo dei problemi. Se si ambienta una storia fuori dall’Italia ci si può permettere di tutto e di più. Appena si affronta una storia italiana, è un calvario. Non è autocensura evitare di finire martirizzati per delle stupidaggini, per colpa di una mentalità stupida, socialmente diffusa e organizzata per corporazioni. Questa è la vera palude del paese, non solo la burocrazia. Personalmente sono stato attaccato pubblicamente perché in un giallo ambientato nella provincia italiana, un tizio che aveva lo stesso cognome del mio assassino (un cognome tra l’altro diffusissimo nella valle in cui era ambientato il romanzo) si è sentito tirato in ballo e mi ha accusato di avergli dato dell’assassino. Io non sapevo nemmeno come si chiamasse il tipo. Poi ho scoperto che era il cassiere della mia banca! Cambiato banca. Subito.

Morale della favola: dopo anni in cui parlo di una situazione anomala per quel che riguarda il fumetto italiano e i suoi contenuti, finalmente c’è uno sceneggiatore di fumetti italiani che ammette che ESISTE un problema di fondo, e che riguarda i media italiani in generale. E questo, direi, che è un segnale importante. Il ragionamento di Manfredi, poi, è particolarmente valido se si parla di omosessualità, nei fumetti e nei media in generale. Sicuramente ANCHE la paura che una sua rappresentazione troppo esplicita, disinvolta o positiva possa scatenare reazioni estremamente negative nei lettori omofobi  (e nelle relative “corporazioni”) e alla base delle situazioni che ho analizzato più volte nel mio blog. Però forse c’è anche dell’altro.

Visto che vengono citati gli Stati Uniti, non posso infatti fare a meno di pensare che, “senso dello spettacolo” a parte, nei fumetti e nei serial americani si possono snocciolare argomenti caldi e forti perché se da un lato ci sono opposizioni feroci a certe “libertà”, dall’altra ci sono delle contro-opposizioni ancora più feroci, nonché una quantità di associazioni che si battono per la libertà di parola e di espressione a tutti i livelli… E se le associazioni non ci sono, si creano movimenti di sensibilizzazione per ogni singolo caso (come è accaduto di recente all’Università di Charleston, per protestare contro i provvedimenti “punitivi” nei confronti di Fun Home di Alison Bechdel).

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In Italia, purtroppo, questo non avviene, e gli editori si sentono fondamentalmente soli e indifesi quando vengono presi di mira. E d’altra parte se la libertà di parola è garantita dal primo emendamento della Costituzione americana, la Costituzione italiana la nomina solo all’art. 21. Qualcosa vorrà pur dire.

In poche parole: se Gianfranco Manfredi sostiene che gli italiani sono (anche) un popolo di bifolchi suscettibili e attaccabrighe, e che fare l’editore di fumetti popolari in questo contesto è un po’ come andare a lavoro cercando di attraversare un giardino privato pieno di cani da guardia pronti ad azzannarti al primo passo falso, io mi sento di aggiungere che dalle nostre parti non c’è nessuno che si prende la briga di mettere quei cani alla catena, o magari di infilargli una bella museruola. Magari per paura di essere morso a sua volta.

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Oltretutto ambientare le storie fuori dall’Italia, in altre epoche storiche o in universi paralleli, è solo una soluzione parziale, perché di certe cose non si può parlare nemmeno decontestualizzandole. Ad esempio: Dylan Dog vive a Londra, ma finora nessuno sceneggiatore ha osato fargli incontrare una sola coppia gay (o lesbica), men che meno sposata e men che meno con figli. D’altra parte Dragonero vive in un mondo fantasy in cui sembra che un incantesimo impedisca la manifestazione dell’omosessualità in tutte le sue forme, con buona pace dei tantissimi fans de Il Trono di Spade, ad esempio, che ormai si aspettano (anche) questo genere di cose da un prodotto fantasy. E per quel che riguarda le epoche storiche, basta guardare cosa è successo con Uccidete Caravaggio!, per capire che le cose non vanno meglio.

Questa storia autoconclusiva, scritta da Giuseppe De Nardo e disegnata da Giampiero Casertano, narra degli ultimi giorni dell’artista dal punto di vista di un cacciatore di taglie spagnolo, Pablo, assoldato da un Cardinale proprio per eliminarlo. Infatti Caravaggio aveva un pessimo carattere, e oltre ad essere una persona sregolata e tendente alle risse si era fatto molti nemici anche fra gli alti prelati che non vedevano di buon occhio il suo approccio alle rappresentazioni sacre, ritenute troppo realistiche e ricche di sottotesti “scomodi”. Alla fine la figura di Caravaggio resta abbastanza sullo sfondo, mentre il filo conduttore sono le riflessioni che suscitano i suoi dipinti nell’animo del suo aspirante carnefice Pablo, che alla fine decide di salvarlo, ma non può fare nulla per impedire che la malaria abbia la meglio sull’artista, ormai stremato dalle sue fughe e dalle sue traversie.

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L’idea di incentrare un albo su Caravaggio non è malvagia, così come non è stata malvagia l’idea di dedicargli un albo speciale tutto a colori, anche per dare modo ai suoi dipinti di essere inseriti digitalmente nel fumetto senza perdere il loro cromatismo. Cosa che, però, ha messo subito in risalto il fatto che non è stato utilizzato, e nemmeno citato, nessuno dei dipinti di Caravaggio che aveva soggetti velatamente omoerotici…

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Ora: qualcuno potrebbe ribattere che forse non erano indispensabili nell’economia della storia. Vero. Tuttavia il fatto che Caravaggio sia diventato celebre ANCHE per i suoi santi fanciulli, i suoi giovani contadini e i suoi angeli voluttuosi, per i quali utilizzava modelli che – almeno in alcuni casi – si ipotizza siano stati anche suoi amanti, è una delle chiavi di lettura della sua arte e della sua persona. Nonchè del fatto che avesse tanti protettori altolocati, visto che – se pure non si è mai capito in che misura Caravaggio fosse omosessuale e/o bisessuale – sembra abbastanza certo che fossero omosessuali i Cardinali e i nobili che gli hanno commissionato alcuni dei suoi dipinti più celebri, e che – guardacaso – in più di un’occasione lo hanno tirato fuori dai guai.

Tuttavia in Uccidete Caravaggio! si accenna solo ai suoi protettori, ma non al florido sottobosco omosessuale di cui facevano parte i mecenati del tempo, o anche solo al fatto che Caravaggio utilizzava come modelli dei prostituti (anche giovanissimi), oltre che delle prostitute.

La cosa che però mi ha lasciato perplesso in modo particolare è stata la presenza, al fianco di Caravaggio, del suo apprendista e modello Leonello Spada, che già secondo il biografo Carlo Cesare Malvasia (1616–1693) era un suo “compagno di dissolutezze”, nonchè “molto vicino al suo cuore”… Eppure in Uccidete Caravaggio! il momento più intimo che i due condividono è un attacco di malaria del pittore, che il suo apprendista cerca di attenuare con un decotto… E, onde fugare ogni possibile sospetto del lettore bonelliano medio, Leonello Spada si rivolge a Caravaggio chiamandolo “amico mio”.

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In tutte le sequenze in cui compare, Leonello Spada non sembra particolarmente preoccupato per la sorte di Caravaggio, nonostante la malaria e tutto il resto. In parole povere, e in perfetto stile bonelliano, per capire che forse i due hanno condiviso più di un decotto e un laboratorio di pittura è necessario consultare Wikipedia.

E in effetti leggendo questa storia si ha la netta sensazione che trasudi di tutte quelle caratterische tipicamente “bonelliane” finalizzate ad accontentare solo un certo tipo di pubblico, anche se gli spunti per coinvolgere un pubblico ben maggiore (e più variegato) non sarebbero mancati. Inoltre risulta abbastanza frustrante il fatto che tutta la questione omosessualità sia stata praticamente rimossa, probabilmente pensando di fare la cosa migliore per favorire il successo commerciale di questo prodotto (che, in effetti, costa ben 6 euro e tratta un argomento un po’ anomalo per il fumetto popolare italiano).

E forse è in quel “pensando di fare la cosa migliore” che sta il problema. Sia come sia anche questa volta ci troviamo di fronte a un fulgido esempio di occasione mancata e a una bella rappresentazione di come i nostri media riflettano i limiti di una certa cultura italiana che ancora detta legge e che non sembra voler rivedere le sue convinzioni (e d’altra parte anche nello sceneggiato che la RAI ha dedicato a Caravaggio nel 2008 di certe cose si preferisce non parlare).

Tra l’altro, rileggendo l’albo con più attenzione, un vago accenno ai gusti sessuali di Caravaggio c’è. Durante un duello con un cavaliere di Malta l’artista ha la peggio e il suo avversario lo invita ad arrendersi, riferendosi con un certo disprezzo al fatto che non vale la pena che muoia per così poco, visto che ha “altre tele da imbrattare e giovinetti da sedurre”… E per tutta risposta Caravaggio gli tira una sassata.

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Il punto, però, è che l’accenno viene fatto sotto forma di insulto, non per bocca del diretto interessato e comunque in un contesto particolare che lo rende estremamente ambiguo. Quel tanto che basta per non urtare la suscettibilità della “mentalità stupida, socialmente diffusa e organizzata per corporazioni” a cui allude Gianfranco Manfredi? In un fumetto italiano su Caravaggio, quindi, certe allusioni sono state ritenute tollerabili solo se presentate sotto forma di insulto? Inquietante.

Evidentemente finché le cose andranno avanti così la situazione non si evolverà. O meglio: si evolverà nella misura in cui il pubblico potenziale dei fumetti italiani si rivolgerà sempre più spesso a forme di intrattenimento più emancipate, come ad esempio i videogiochi di ultima generazione (dove, guardacaso, anche l’omosessualità viene rappresentata in modo diretto), portando gli editori tradizionali (e tradizionalisti) ad implodere dopo una lenta ed inesorabile perdita di lettori dovuta al mancato ricambio generazionale…

D’altra parte se un ragazzino di oggi può vedere davvero di tutto (nel bene e nel male) collegandosi a internet, perché dovrebbe affezionarsi a fumetti che – sempre più spesso – devono scendere a compromessi che li ingabbiano? Probabilmente un nuovo lettore si affezionerà solo se già condivide quei compromessi, e questo implica che – nel lungo periodo – un editore come la Bonelli finirà per diventare di riferimento solo per il pubblico che è già “allineato” ai compromessi sopracitati, o che è disposto a tollerarli suo malgrado, con conseguente riduzione del bacino dei lettori e relativo calo di vendite.

Quindi non ci sono scappatoie?
Se si va avanti così probabilmente no.

Forse l’unica alternativa sarebbe cambiare rapidamente e radicalmente strategia editoriale, prima che sia troppo tardi, ma in maniera reale e non solo superficialmente, differenziandosi non solo per “generi”, ma anche per impostazione narrativa e contenutistica (cosa che, ad esempio, la Bonelli non sembra intenzionata a fare più di tanto). Magari, nel caso della Bonelli, potrebbe significare un nuovo personaggio under 30, o magari under 20, in cui i giovani lettori occasionali possano davvero identificarsi (a differenza di quanto avviene con i protagonisti di Orfani, ad esempio, che sono “giovani” solo anagraficamente), visto che tutti i suoi mensili (a parte Orfani, che è quel che è) hanno protagonisti sulla trentina e oltre, tutti molto self-confident, “adulti” e impostati.

E magari chi vuole dare il via a questa rivoluzione dovrebbe munirsi di un (bravo) consulente legale in grado di suggerire come tutelarsi per essere liberi di esprimere ciò che si vuole, nei limiti della legalità e in tutta sicurezza… E soprattutto che sia in grado di reagire adeguatamente ad eventuali minacce, che poi è un po’ quello che hanno fatto gli editori di manga in Italia quando hanno iniziato a scrivere su ogni albo che i loro personaggi erano tutti maggiorenni, anche quando dichiaravano il contrario, e che comunque erano solo rappresentazioni grafiche: dichiarazione grottesca, ma necessaria per uscire dall’occhio del ciclone.

Certo però che, se davvero gli editori di fumetti italiani che non toccano certi argomenti non lo fanno solo perchè sono prevenuti, ma soprattutto perché sono succubi di “una mentalità stupida, socialmente diffusa e organizzata per corporazioni”, la situazione è persino peggiore di quel che sembra… E forse bisognerebbe che di questa cosa si parlasse un po’ di più.

*Questo intervento, in una versione più ampia, è apparso sul blog di Wally Rainbow, in due successivi post.

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