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I fumetti più piccoli del mondo secondo Stan Lee: i Marvel Mini-Books

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Negli anni Sessanta, la Marvel Comics di Martin Goodman era in una fase di grandi cambiamenti: aveva appena assunto il nuovo nome nel 1961 (da Atlas Comics), e grazie a Stan Lee, Jack Kirby, Steve Ditko e altri autori iniziava a imporsi nell’immaginario degli americani con Spider-Man, Fantastici Quattro, Hulk, Capitan America, Thor e numerose serie dal rapido successo.

Tra le iniziative della casa editrice, in quegli anni di grande inventiva nacque anche una collana quanto mai bizzarra, finita presto nel dimenticatoio. All’interno della celebre rubrica in cui comunicava con i lettori, “Marvel Bullpen Bullettin”, nelle testate uscite a luglio e agosto del 1966, Lee annunciò la pubblicazione dei Marvel Mini-Books. Anni dopo, sarebbero finiti ufficialmente nel Guinness dei primati. Il loro record? Essere i fumetti più piccoli mai stampati.

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Nello specifico, si trattava di sei libretti, dalle dimensioni all’incirca di una moneta (larghi 1,58 cm e alti 2,22 cm) che vennero distribuiti in un circuito ben lontano da quello editoriale: le macchinette delle chewing-gum. Già, proprio quei dispenser da cui, dopo aver infilato una moneta e girato una leva, vien giù la gomma da masticare (oggi sostituita da gadget di ogni tipo) protetta in una sfera di plastica.

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Ma gli aspetti curiosi e memorabili non finiscono qua. Basti pensare alla tiratura, a quanto pare la più alta della storia Marvel, dato che ammontò a qualcosa come dieci milioni di copie. Anche per questo, in effetti, non è impossibile rintracciarli ancora oggi, anche a prezzi piuttosto accettabili (dai 30 fino 130euro per quelli meglio conservati). Ciascuno dei sei libretti era stampato in sei colori diversi, in modo da dare vita a una caccia collezionistica, invocata peraltro anche in seconda di copertina: verde, rosso, giallo, giallo limone, azzurro e arancione.

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La scelta dei protagonisti, invece, pare tutt’altro che scontata, almeno vista oggi. Certo, c’erano Spider-Man, Hulk, Thor e Capitan America, ma anche Nick Fury (in versione soldato della Seconda guerra mondiale, e non ancora spia) e soprattutto Millie la Modella. Quest’ultimo personaggio, protagonista di una serie tra il sentimentale e l’umoristico, è oggi quasi del tutto dimenticato (salvo essere riemerso nel settembre 2013 grazie a Brian Michael Bendis, che ne annunciò scherzosamente un rilancio a opera sua e di Rob Liefeld), ma in quegli anni era ancora molto popolare. Millie the Model aveva debuttato nel 1945 durante un periodo di “stanca” dei supereroi, e fu pubblicata per circa trent’anni, attorniata da numerosi spin-off. Per dire della sua celebrità, basti considerare che quando la Atlas lasciò il posto alla Marvel, Millie entrò a far parte della continuity ufficiale creata da Stan Lee, tanto da essere invitata anche al matrimonio di Reed Richards e Sue Storm dei Fantastici Quattro.

Ad arricchire di dettagli sorprendenti il tutto, nel micro-albetto dedicato a Spider-Man ci fu il primo incontro, sebbene fugace, tra il supereroe Marvel e Superman. Ben dieci anni prima dello speciale ideato da Gerry Conway e Ross Andru, quindi. Non a caso, delle sei uscite, questa risulta ancora la più ricercata dai collezionisti.

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Ovviamente, considerate le poche pagine a disposizione (cinquanta), anche lo storytelling fu… “micro”. Le storie, infatti, si limitavano a ricapitolare le origini e le caratteristiche salienti dei personaggi, con una gag finale. Inoltre, le dimensioni ai limiti della leggibilità ebbero un altro effetto: le pagine di disegno (poco più della sola figura dell’eroe) si alternavano con altre di testo, alla maniera dei picture book e delle raccolte di vignette, salvo alcune sequenze. L’albetto dedicato a Hulk, invece, si presentava in parte più simile a un canonico fumetto, grazie alla presenza di più numerosi balloon co-presenti nelle mini-tavole.

Oggetti promozionali destinati a invogliare i giovanissimi clienti delle macchinette per chewing-gum a leggere i fumetti della Marvel, e talmente minuscoli da risultare difficili da maneggiare con dita da adulto, i Mini-Books non poterono che avere una consistenza narrativa e grafica “usa (mastica?) e getta”. Anche per questo, non si può certo dire che Marvel investì nei disegni al loro interno: infatti erano presi direttamente dalle serie mensili. Nell’albo di Spider-Man, per esempio, in alcuni disegni è riconoscibile la mano di Ditko. Le immagini aggiuntive (di sicuro per la storia di Spider-Man, ma probabilmente anche di tutte le altre) furono invece realizzate, secondo quanto ricostruito dallo storico del fumetto americano Mark Evanier, da Marie Severin, che aveva esordito nel mondo del fumetto negli anni Cinquanta come colorista delle storie di suo fratello John alla EC Comics, per poi collaborare con la Marvel durante gli anni della cosiddetta Silver Age.

Per effimeri che siano stati, tuttavia i Mini-Books Marvel non sono stati un fenomeno isolato. In quegli anni – e anche ben prima del ’66 – ne vennero infatti pubblicati diversi, sempre distribuiti allo stesso modo, con contenuti in gran parte umoristici e con i protagonisti più vari (in particolare quelli pubblicati da CHP Press, con i suoi Tiny Tales, Silly Willies, Monster Laffs…). Nel 1970, invece, ne fu pubblicata una serie – in cinque mini-albi – dedicata ai personaggi della Archie Comics, creati nei primi anni Quaranta da John L. Goldwater e Bob Montana, che all’epoca ancora rivaleggiavano in popolarità con i neonati supereroi Marvel. Passato in disuso tra gli anni Ottanta e Duemila, in anni più recenti a questo micro formato hanno ripreso a guardare alcuni autori della scena alternativa, ma anche, per certi versi, un autore come Chris Ware, da sempre appassionato cultore di formati eccentrici, dal maxi al mini, come testimoniato dal suo recente “libro di libri” Building Stories. In fondo, la tradizione dei libri in miniatura risale ad almeno 4000 anni fa. Ma questa è un’altra (micro)storia.

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