HomeRecensioniClassicIl Miracleman di Alan Moore: valeva la pena aspettare?

Il Miracleman di Alan Moore: valeva la pena aspettare?

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Era ora. Dopo anni di attesa e false speranze arriva in Italia per Panini Comics la ristampa integrale del Miracleman di Alan Moore. Un sogno per tutti gli amanti del bardo di Northampton. Un’occasione unica per mettere le mani sui semi che avrebbero dato vita al capolavoro Watchmen. Ma se nel corso degli anni, su questa serie dalla travagliata storia editoriale, si è letto tutto e il contrario di tutto, il risultato è stato uno solo: ingigantire a dismisura le aspettative.

La chiamerei sindrome del “titolo perduto”: quella misteriosa congiunzione astrale che rende un’opera irreperibile quasi sempre la ‘migliore’. Solo i più tenaci e i veterani della prima ora possono fruire di tale tesoro nascosto. Ma non si tratta che di un’assurdità, nonostante per anni – anni pre-Internet, tra le altre cose – abbia mantenuto in perenne movimento orde di archeologi pop, ossessionati dal ritrovare chissà quale film perduto o le tre pagine censurate di un fumetto di cinquanta anni prima. Mesi di lavoro spesso destinati a finire in tonfi dolorosi e carichi di amarezza (oltre che economicamente onerosi). Un’eventualità che potrebbe palesarsi anche questa volta, non per il reale valore della serie ma per il significato assunto nel corso degli anni. Miracleman sarebbe qui il “capolavoro perduto di Moore” – come potrebbe non essere qualcosa di grandioso? Prima di spingerci oltre, la domanda è quindi lapalissiana: è valsa la pena sperare per così tanto tempo in una ristampa alla portata di tutti? Vi tranquillizzo subito: sì.

Di tanti fumetti di supereroi cosiddetti “revisionisti” Miracleman non solo è stato il primo, non solo è l’unico (assieme al gemello buono Watchmen) ad avere una giustificazione storica alla sua ideazione – la Guerra Fredda e la fine della stagione dei grandi idealismi – ma è ancora uno dei pochi a riuscire a trasmettere una reale sensazione di minaccia e pericolo costante.

Da queste pagine, riemerse da una palude di cavilli legali mefitica e asfissiante, si capisce quanto Moore odiasse i supereroi. Facendosi ben pochi problemi a sputare nel piatto da cui avrebbe mangiato, con gusto, da lì ai 20 anni seguenti.

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Partendo da una serie di personaggi realmente esistenti – Miracleman e i suoi due compari uscivano davvero negli anni ’50, per la casa editrice Len Miller & Son – Moore ne esplora la genesi in maniera machiavellica. Sul nostro piano della realtà, non si trattava altro che di mere speculazioni sulla popolarità di Superman e dei comics statunitensi. E da qui l’assunto di Moore: perché non potrebbe essere lo stesso nella finzione? Un rovesciamento di ruoli spietato: il supereroe è un fantoccio, una bomba a orologeria da disinnescare al più presto possibile. Soprattutto in un periodo come i primi anni ’80, dove essere spensierati sognatori pareva un crimine da contenere il più possibile (e infatti notate quando i Nostri rischiano di essere messi fuori gioco in maniera definitiva…).

A differenza di quanto succede in Watchmen, dove i paladini non sono che uomini mediocri ossessionati da pulsioni incontrollabili, qui i protagonisti sono davvero più vicini al concetto di semidio che non a quello di fesso agghindato in latex. Esseri dotati di una potenza spaventosa, pericolosi, infantili, spesso irritanti nella loro visione del mondo miope e ottusa. Incapaci di capire la pericolosità della violenza. Tanto per rendere il concetto, sappiate che il protagonista non si limita a uccidere la sua nemesi storica, ma propende piuttosto per scagliarla a piena potenza dalla stratosfera verso la superficie terrestre. Facendogli guadagnare una velocità tale da privarlo anche dell’umanità di una salma da seppellire. Non male per un personaggio che, negli anni ’50, finiva al massimo per sfogarsi con un “Santi maccheroni” in grassetto.

Anche al di là delle finezze tecniche di un Alan Moore in stato di grazia – Miracleman ebbe una diffusione infinitamente inferiore ai suoi lavori seguenti, permettendogli una prosa ben più letteraria e complessa rispetto a ciò che sarebbe arrivato poi – questo suo lavoro contiene in maniera già perfetta e inattaccabile tutto quello che il fumetto revisionista ci avrebbe detto nei decenni seguenti. Per ferocia e cinismo forse l’unica cosa che gli si avvicina sono i lavori di Ellis per la Avatar, ma è davvero come confrontare un temino delle medie con una tesi di dottorato. Per quante frattaglie e parolacce si siano prodigati a distribuire sulle loro pagine, i vari Ellis, Ennis e Millar non arrivano neppure vicini ai 40.000 civili carbonizzati da Kid Miracleman, e all’idea di uno stato totalitario dello spessore filosofico e teologico al pari di quello ipotizzato da Moore nell’ultimo numero della sua gestione.

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Il Miracleman di Alan Moore, nella sua furia cinica e disumana, riesce comunque a dare un ritratto del super uomo come entità sconfinata, priva di limiti. Curioso come invece al giorno d’oggi si cerchi di celebrare questa figura mitologica normalizzandola il più possibile. Segno dei tempi che corrono. Oggi tutto deve essere a misura d’uomo. Costruito intorno a noi, come recita quella nota pubblicità. Vedremo se i prodotti frutto di questa mentalità avranno la stessa freschezza e urgenza di quelli nati in quella situazione così ansiogena. E vedremo se, fra vent’anni, avremo ancora voglia di andare a (ri)cercarli.

Per ora, limitiamoci a recuperare questi volumetti. E a goderceli. Finalmente.

Leggi anche: L’estetica di Watchmen, 30 anni dopo

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