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I viaggi di Ugo. Ovvero come Maus arrivò in Italia (un po’ per caso)

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di Giancarlo Elfo Ascari

In rete non troverete nulla su di lui, Ugo Cirillo è riuscito a non lasciare tracce. Ai tempi del caso del giornale studentesco La Zanzara eravamo compagni di banco, al liceo Parini di Milano. Io molto timido, lui più estroverso: entrambi suonavamo la chitarra e costruivamo modelli di aerei della Seconda guerra mondiale.

Un giorno, durante una lezione particolarmente noiosa, Ugo per gioco mi tira un colpo di karate sul collo. Io, un po’ ipocondriaco, gli annuncio che, come ho letto in un articolo sugli effetti di quel tipo di colpi, sverrò dopo 20 minuti. Dopo mezz’ora mi risveglio in infermeria, taccio con il medico la sequenza degli eventi, io e Ugo diventiamo molto amici. I nostri professori avevano una particolare inclinazione al sadismo e all’umiliazione degli allievi, così la classe verrà falcidiata. Noi due ce ne andiamo in licei diversi ma continuiamo a frequentarci.

Ugo Cirillo, Art Spiegelman, Josè Munoz maus
Accoccolati in prima fila da sinistra: Ugo Cirillo, Art Spiegelman, Josè Munoz. In seconda fila seconda da sinistra Susan Moore, pittrice e moglie di Charles Burns; ultima da sin. Francoise Mouly, editore e designer di Raw, nonché moglie di Spiegelman. Probabile autore della foto, Charles Burns.

Arriva il ’68 e ci stiamo dentro fino al collo, in seguito entrambi bordeggeremo tra i gruppi della sinistra extraparlamentare. Io faccio architettura, lui frequenta matematica e filosofia, poi rileva una ditta di viti e bulloni e si trasforma in piccolo imprenditore. Nel frattempo si appassiona alle filosofie orientali e viaggia molto, gira il mondo per diletto (soprattutto Medio Oriente e India) e per lavoro (soprattutto Europa dell’Est e USA). L’unica volta che lo bloccano a una frontiera è quella della DDR: gli trovano in valigia i Grundrisse di Marx, e portarli nella Germania comunista pare molto sospetto.

Nel 1977, firmandomi Elfo, inizio a pubblicare fumetti su Alter alter e nel ’79 mi ritrovo tra i fondatori di Storiestrisce, cooperativa che aggrega molti disegnatori e sceneggiatori del fumetto d’autore (tra i primi soci ricordo Altan, Sergio Staino, Guido Buzzelli, Renato Calligaro, Milo Manara, Lorenzo Mattotti, Adriano Benedetti, Franco Serra, Renato Queirolo, Antonio Tettamanti, Fabrizio Ostani, Anna Brandoli, Cinzia Ghigliano, Giuseppe Laganà, Grazia Nidasio, Laura Scarpa).

Storiestrisce nasce per creare cartoni animati, promuovere il fumetto sui media e proporre nuovi autori (arriveranno Igort, Giorgio Carpinteri, Daniele Brolli, Marcello Jori, Massimo Josa Ghini, Danilo Maramotti, Francois Berthoud, Ugo Bertotti, Roberto Baldazzini, Silvio Cadelo, Franco Matticchio, Massimo Giacon, Mathieu Laville, Davide Toffolo e altri). Ma al momento della fondazione, quando ci troviamo a scegliere un presidente, capiamo che serve uno capace di tenere insieme un gruppo che quanto a vivacità è un incrocio tra un collettivo studentesco e una compagnia teatrale.

Propongo Ugo. Che nessuno conosce, ma né scrive né disegna; quindi sembra affidabile a tutti. Avremo così un presidente che di fumetti legge solo Topolino, ma sa gestire soci e clienti, contrattare e vendere. La sua linea di condotta, coscientemente marxiana e inconsciamente situazionista, sarà che i fumetti sono come i bulloni: trattasi di merce. E, a vedere le cifre che riuscirà a spuntare in Italia per il lavoro di un autore americano praticamente sconosciuto, forse non ha tutti i torti.

Ugo capita a New York all’inizio degli anni Ottanta per trovare un’amica che lavora a Newsweek, sta lì un po’ e si guarda intorno anche per Storiestrisce. Forse dall’Italia gli suggeriamo qualcosa a proposito di una nuova rivista, forse lui la scopre in libreria: comunque nota Raw (che Art Spiegelman, allora, autoproduceva con Françoise Mouly) e il suo inserto Maus.

Quella storia di topi ebrei e gatti nazisti, stampata in piccolo formato su carta povera, lo colpisce. Di segno grafico non capisce molto, ma è folgorato dalla narrazione e dalla valenza politica del racconto. Va quindi a trovare Spiegelman, i due si intendono, e Ugo torna a Milano con un’opzione per distribuire Maus in Italia.

Tecnicamente quelle pagine, già pubblicate su Raw, non sono un inedito; ma “Linus” le pagherà 100 dollari l’una. Sono dollari degli anni Ottanta, e si tratta probabilmente della prima pubblicazione importante e redditizia di Maus fuori dagli Stati Uniti: la prima parte del romanzo apparirà inserita in Linus dal 1983 al 1985, in fascicoli dello stesso formato di quelli allegati a Raw.

Le modalità dell’edizione sono una storia nella storia, con passaggi surreali. Spiegelman si rivela molto pignolo riguardo alla grafica, alla carta, al lettering, alla traduzione; che Fulvia Serra, direttore di Linus, affida a Ranieri Carano, uno dei più raffinati traduttori di fumetti americani. Ma Spiegelman vuole una persona di fiducia a controllare il lavoro di Carano. E per il ruolo di suo referente in Italia, sceglie l’argentino Josè Muñoz, che gentilmente si presta alla bisogna, con leggero e divertito imbarazzo. Noi di Storiestrisce, che ci troviamo a gestire il traffico tra New York e l’editore Milano Libri, riusciamo miracolosamente a destreggiarci tra lettering, slang yiddish e fatturazioni transoceaniche (da brava cooperativa di autori, terremo una percentuale molto bassa sui diritti).

(Qui potete leggere le istruzioni di Art Spiegelman per il lettering di Maus – NdR)

Sulle pagine di Linus Maus fa il botto. In Italia è l’epoca del craxismo: un paese che accumula deficit ballando e facendo il trenino, finché il convoglio andrà a schiantarsi contro “mani pulite” e quel che segue. Atterrando come un UFO in quell’impasto tossico di gommina nei capelli, giacche con le spalle imbottite, rucola e riviste patinate, il lavoro di Spiegelman va in controtendenza. I lettori sono entusiasti di quel segno semplice e colto su carta ruvida, di una storia che riesce miracolosamente a conciliare ironia e dramma.

maus art spiegelman italia

Eppure Maus resterà sul momento un caso isolato, che pochi autori prendono a modello: per tutti gli anni Ottanta sulla scena del fumetto italiano dominerà un’illogica allegria. Chi si vota all’avventura per l’avventura, chi ripete allo sfinimento che “il fumetto è arte”, chi riprende le avanguardie artistiche di mezzo secolo prima. Ma intanto le riviste, che da noi erano la base economica del mercato del fumetto d’autore, chiudono una dopo l’altra.

Quel che è certo è che, passata la sbornia degli Ottanta, negli anni seguenti (e ancora oggi) nei comics d’autore la parola d’ordine sarà graphic novel, un genere di cui Maus resta l’esempio massimo. Ma Ugo non ha potuto vedere come sono andate le cose: è morto vent’anni fa, portato via in pochi mesi da un tumore al pancreas. E qui voglio ricordare il suo non piccolo contributo alla diffusione di un capolavoro.

* Giancarlo Ascari, in arte Elfo, è autore fra gli altri di: Love Stores (Coconino Press, 2005), Tutta colpa del ’68 (Garzanti, 2008), Sarà una bella società (Garzanti, 2012), L’arte del complotto (Rizzoli Lizard, 2015).

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