Di Becky Cloonan ultimamente si è parlato un sacco. Vuoi per la beatificazione post-Eisneriana (la Nostra è riuscita a portarsi a casa l’Eisner Award per la migliore uscita singola del 2013 con l’albetto autoprodotto The Mire), vuoi per le effettive qualità di questa giovane autrice. Aspetto che mai nessuno si sarebbe comunque messo a discutere, vista l’impressionante mole di nomination e di riconoscimenti guadagnanti nei ultimi anni. Senza contare poi gli impegni su titoli come Batman, Conan the Barbarian e Northlanders. Demeter è la sua nuova fatica extra-major e anche in questo caso, come nel già citato The Mire, si parla di un pugno di paginette scritte e disegnate con una padronanza del mezzo fuori dal comune. A testimonianza di questo la densità di eventi, di stratificazioni e di umori che bagnano ogni passaggio di questa storia d’amore, velata di horror e pessimismo cosmico.
Una delle critiche mosse più di sovente al movimento dei mini-comics è la natura effimera della narrazione, con autori troppo spesso dimentichi del fatto che un volume a fumetti deve prima di tutto raccontare qualcosa. Con Becky questo tipo di problema non esiste. Per quanto le pagine a sua disposizione siano poche, una volta arrivati all’ultima vignetta l’esperienza sarà soddisfacente e corposa come spesso non succede neppure con tomi ben più voluminosi. Un simile risultato lo si ottiene evitando di perdere tempo e arrivando subito al sodo. Prendiamo l’ultimo paio di uscite dell’autrice, legate da formato, temi e immaginario. Il contorno è ben presente ma asciugato con natura certosina. Osservando le vignette e leggendo tra le righe veniamo a conoscenza di tutto quello che dobbiamo sapere. Ogni spazio altrimenti destinato a legnose informazioni in eccesso viene sfruttato per convogliare una storia sospesa tra presente e un passato via via meno nebuloso.
La storia del povero pescatore Colin nasconde un segreto di cui neppure lui è a conoscenza. Ogni snodo passa dalla bella e innamorata moglie Anna, custode di un patto di sangue siglato per un prezzo esagerato.
Anche questa volta, proprio come nella sua opera precedente, la Cloonan non sfugge al consueto meccanismo tipico delle storie brevi. Quella convenzione secondo cui, nell’ultimo paio di pagine, il climax deve ribaltare ogni ipotesi del lettore. Peccato che il risultato solitamente alterni disastrosi ribaltoni alla Shyamalan a contro-finali degni di Zio Tibia. In questo caso invece la pratica torna a vestire, con talento e intelligenza, il ruolo per cui era stata concepita. Il nucleo tematico della narrazione viene concentrato nell’ultima porzione del volume, consentendo così di andare a tappare i buchi appositamente seminati dalla sceneggiatura e di capire fino in fondo dove si voleva andare a parare solo a lettura ultimata.
E se in The Mire l’arrivo era di una dolcezza straziante, nel caso di Demeter si va a sconfinare in campi all’antitesi del celebrato volumetto. Le aspettative del lettore più smaliziato vengono rovesciate e si va a picchiare dove si temeva fin dal principio. Senza scampo. Non si può sfuggire al rito del raccolto correndo tutta una vita. Figuriamoci in trentuno pagine.