Oggi possiamo dirlo: il criceto Bruce è definitivamente morto.
La “simpatica” ma non molto amata mascotte di Topolino, introdotta durante la direzione di Claretta Muci (2000/2007), rappresentava appieno tutti i difetti di quello che è stato forse il periodo di maggiore difficoltà della testata. Sotto la Muci, che pure coinvolse molti degli autori migliori, Topolino aveva concluso nel peggiore dei modi il decennale percorso di infantilizzazione dei propri contenuti. Nei sette anni che la videro alla guida della pubblicazione, i personaggi Disney italiani riconquistarono alcune caratteristiche ‘mature’ (come la possibilità di usare pistole o altre armi) ma le storie persero pian piano ogni ombra, per via dell’intenzione evidente di concentrarsi su un pubblico soprattutto infantile. Eppure sono proprio quelle ombre, quelle inquietudini, che i bambini – insieme al divertimento – bramano.
Uno dei punti di forza delle storie disneyane – italiane e non – risiedeva da sempre proprio in quel continuo alternarsi fra la risata e il brivido, fra la sorpresa e lo spavento (l’anima di tanti thriller disneyani, in fondo). Un metodo efficace di creare desiderio, emozioni varie e complesse – ma un’eredità che il faccione peloso del roditore, onnipresente nelle pagine redazionali e protagonista occasionale di alcune strisce dimenticabili, rischiava di seppellire.
Sotto la gestione di Valentina De Poli (2007- in carica) molte cose sono cambiate: l’inquietudine è riapparsa, prima quasi in sordina, poi sempre più prepotentemente, sulle pagine del “Topo”. Due sceneggiatori possono essere considerati i principali artefici di questo rinnovamento nel segno della continuità: Casty, al secolo Andrea Castellan, classe 1967, che in dieci anni e poco più di un centinaio di storie è diventato uno dei più amati e quotati autori Disney; e Francesco Artibani, di un anno più giovane, ormai uno dei classici Disney Italiani. Le recenti Darkenblot 2.0 regeneration (Casty/Pastrovicchio) e Topolino e il codice armonico (Artibani/Mottura) rappresentano due degli esempi più interessanti di questa rinnovata tendenza. Naturalmente Casty e Artibani non sono soli. Penso, nel segno di questo articolo, in particolare a storie come Dracula di Bram Topker (ne parlai già QUI) e alla bellissima e anomala Paperino Paperotto e il Grande Sonno, non a caso sceneggiate entrambe da Bruno Enna.
Casty, che comincia a lavorare al settimanale nel 2003, sotto la dirigenza della Muci, già nel 2008 si esprime, come autore completo, in una delle sue storie ad episodi più inquietante: quella Topolino e il mondo che verrà. La scelta di recuperare, nel ruolo dell’antagonista di turno, un personaggio come La Spia Poeta è significativa sotto molti punti di vista. Innazitutto perché si tratta di uno dei villain più inquietanti di tutta la storia del fumetto, non solo disneyano. Spia al soldo di una non specificata potenza straniera (ma gli anni sono quelli della Guerra Fredda) esordisce nella classica storia Eta Beta e l’atombrello (Bill Walsh/Floyd Gottfredson) con il compito di sottrarre all’uomo del futuro l’invenzione del titolo. Il sipario cala su di lei in maniera particolarmente cruenta: vestita in uniforme da gran parata, annega in mare, tratta verso il fondo dal peso stesso delle medaglie che porta appuntate sul petto. Ricompare quasi cinquant’anni dopo in una gradevole storia italiana, Topolino e il ritorno della spia poeta. Svestita ormai della sua funzione e del suo ruolo – altri anni, altri tempi – la non più spia si rivolge proprio a Topolino, che più volte aveva cercato di mandare all’altro mondo, per reintegrarsi nella società. Casty, che dichiaratamente si pone come erede e originale imitatore del lavoro di Gottfredson (e conseguentemente di quello di Romano Scarpa, il miglior prosecutore del maesto americano) nella sua storia in quattro episodi restituisce La Spia Poeta ai suoi antichi, crudelissimi fasti. Certo, le conseguenze, così come il finale, non sono paragonabili a quelli della sua prima apparizione – la morte è ancora un tabù in Disney – ma nell’attuale produzione la sua performance risplende per ambiguità e crudeltà.
La storia fantascientifica Darkenblot 2.0 regeneration, seconda parte di una saga (QUI la prima parte) prosegue su questa strada. Macchia Nera, altro grande personaggio recuperato al lato oscuro da Casty, dopo decenni di scialbe apparizioni, viene inserito nel contesto fantascientifico della citta di Robopolis, ennesimo emblema della vanagloria e dell’umano desiderio di onnipotenza, altro tema ricorrente dell’autore. Le atmosfere dark, la critica al cattivo uso della tecnologia, l’utilizzo sapiente di un immaginario di derivazione manga – grazie all’apporto grafico dell’ottimo Pastrovicchio – così lontano da quello, banalizzato e svilito adottato nella saga Wizards of Mickey vanno a comporre un racconto morale in cui paura e inquietudine la fanno da padrone. L’inquietudine è quella di migliore qualità, quella che deriva dal vedere agire personaggi che agognano il controllo non per personale tornaconto, ma per quel desiderio di “potere per il potere” che sveste le loro azione di ogni rassicurante, per quanto deviata, concretezza.
Del poliedrico Artibani si è già detto molto (una mia intervista la trovate QUI). Dopo una lunga pausa da Topolino, parzialmente coincisa con la gestione Muci, lo sceneggiatore romano è tornato a offrire il suo fondamentale contributo alla testata. Delle sue molte storie quelle che ci interessano qui sono alcune delle sue più recenti. Come Zio Paperone e l’ultima avventura, storia in quattro parti in cui i meccanismi voraci del capitalismo moderno vengono messi alla berlina con efficacia e senza particolari – né consolatorie – semplificazioni. Artibani, per questa storia, recupera, come Casty, molti personaggi classici della mitologia disneyana, primo fra tutti Cuordipietra Famedoro, primo storico concorrente del miliardario Paperolese, inventato da Carl Barks nel 1956. Questa tendenza al recupero, mai sopita, in realtà, nell’universo disneyano, ma riesplosa nel corso degli ultimi anni (si pensi solo a Dinamite Bla) pare essere particolarmente sintomatica non di una mancanza di idee, come si potrebbe pensare di primo acchitto, ma piuttosto testimonianza di un universo inesauribile che non bisognerebbe mai dimenticare, spinti da urgenze modernizzatrici.
Oltre all’esempio qui citato, la storia più nota della produzione recente di Artibani è sicuramente quella Moby Dick (per i disegni di Paolo Mottura) meritevolmente riproposta in volume poche settimane fa. Si tratta, come è evidente, di un adattamento letterario ma anche, ancora una volta, di un duplice recupero. Da una parte quello della tradizione disneyana delle Grandi Parodie, particolarmente efficace nel rendere lo spirito originario del testo; dall’altra quello del primissimo Paperone, il personaggio Barksiano de Un Natale sul Monte Orso cupo, rancoroso e solitario. I disegni di Paolo Mottura, uno dei migliori disegnatori disneyani in attività, attraverso inquadrature angolate, primissimi piani insistiti e un segno ricco e pieno, esprimono perfettamente il tono claustofobrico e sepolcrale della storia.
Ma il culmine di quello che qui abbiamo voluto chiamare “ritorno all’inquietudine” si raggiunge con una storia presente nell’ultimo numero di Topolino pubblicato, il 3028. In Topolino e il codice armonico (della stessa coppia di autori del Moby Dick), quella che potrebbe sembrare una classica storia istituzionale, come se ne sono viste tante sulla pagina del settimanale (con alterni risultati), si trasforma in quello che potremmo definire, con le dovute cautele, un horror organica (un ulteriore plauso all’arte di Mottura) Fabbrica del Gas.
Ci fermeremo qui, per non svelare ulteriori particolari su una storia ancora in edicola. Senza voler forzare il paragone, questo movimento verso il basso, verso i sotterranei, verso quelle viscere in cui il mondo di sopra si ribalta – “movimento” tipico di Artibani, su cui varrebbe la pena spendere due parole in più – ci sembra particolarmente significativo di quello che è – e che mi auguro consolidarsi – il nuovo/vecchio corso di Topolino, in special modo dopo il passaggio sotto il “cappello” di Panini Comics. Speriamo si continui così. Sempre più in basso, sempre più a fondo, sempre più in alto.